Nel maggio 2007 un medico obiettore di coscienza in servizio di guardia presso il reparto ginecologico di un ospedale del Nord fu chiamato dall’ostetrica ad assistere una donna sottoposta ad aborto volontario del secondo trimestre. Al rifiuto da parte dello specialista di visitare la donna e di eseguire l’ordine di servizio impartitole telefonicamente dal primario e dal direttore sanitario, è seguita un’azione giudiziaria conclusasi con la sentenza della Corte di Cassazione che ha confermato la condanna del medico per rifiuto di atti d’ufficio.
“Dopo l’aborto non esistono obiettori”, “Medico obiettore non può rifiutare cure dopo l’aborto”, “Il medico obiettore non può negare le cure a chi abortisce”. Sono alcuni dei titoli coi quali i media hanno commentato la sentenza. Poiché l’intervento del medico obiettore era stato richiesto nella fase di secondamento, cioè nella fase di espulsione della placenta e degli annessi, quando il feto era già stato espulso, i giudici hanno deciso che il medico non potesse invocare la propria obiezione di coscienza.
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