“Ecco: la vergine concepirà e partorirà un figlio, che chiamerà Emmanuele.”, così Isaia profetizza la nascita di Colui che verrà a redimere l’umanità separata da Dio a causa del peccato originale.
Ma chi era quella vergine? Siamo talmente abituati ad ascoltare questa profezia e a pensare a Maria come la Madre di Nostro Signore che non ci soffermiamo più a riflettere sulla meraviglia che Dio ha creato per la nostra salvezza.
Le notizie sulla sua famiglia e la sua infanzia le troviamo negli scritti della beata Anna Caterina Emmerick. Sappiamo così che per parte di sua madre Anna era imparentata con gli Esseni, ebrei eremiti che abitavano nelle caverne dell’Oreb, il monte su cui si rifugiò il profeta Elia. All’epoca della nascita della Madonna essi pregavano molto per l’avvento del Messia e su quel monte nella seconda metà dell’XI secolo nacque l’Ordine mariano dei Carmelitani.
Furono gli Esseni, consultati da Anna riguardo allo sposo che doveva prendere, a indicarle Gioacchino, che ella non conosceva e, come riporta anche la tradizione, essi ebbero Maria in tarda età dopo molte preghiere e penitenze offerte a Dio per impetrare il dono di un figlio, concependola poi in uno stato di particolare grazia e purezza di cuore.
Anche Evodio, successore di S. Pietro di Antiochia, Gregorio di Nissa, Giovanni Damasceno e altri confermano quanto riferito dalla Emmerick: a cinque anni Maria fu condotta dai genitori a vivere nel tempio di Gerusalemme perché fosse istruita secondo le regole ebraiche, e in quell’occasione, come prescritto per le pie famiglie, la bimba venne dedicata al Signore perché da lei nascesse il tanto atteso messia.
All’età di quattordici anni la S. Vergine, come le altre fanciulle ospitate insieme a lei, doveva prendere marito e a tal fine furono convocati nella casa del Signore tutti gli scapoli della stirpe di Davide, in quanto le profezie indicavano che da quella discendenza sarebbe nato il Salvatore.
Infatti Isaia aveva profetizzato: “Un germoglio spunterà dal tronco di Iesse, un virgulto germoglierà dalle sue radici”. E Iesse era il padre del re Davide. Perciò il sommo sacerdote decise che ad ogni pretendente fosse consegnato un ramoscello secco sul quale ognuno avrebbe dovuto scrivere il proprio nome e depositarlo poi sull’altare davanti al Santissimo. Quello dal cui ramo fosse spuntato un germoglio sarebbe stato lo sposo di Maria.
Così fu fatto e il ramoscello che fiorì fu quello di Giuseppe. Questi era un giovane pio, arrivato da Betlemme per ubbidienza, infatti non era nelle sue intenzioni prendere moglie. Si era allontanato molto giovane dalla casa paterna per vivere da solo, si manteneva lavorando nella bottega di un falegname e trascorreva il suo tempo libero in meditazione e preghiera. Oggi lo definiremmo un contemplativo.
A leggere la Emmerick nemmeno Maria desiderava sposarsi avendo dedicato in cuor suo la propria verginità al Signore, però anche lei, come Giuseppe, si assoggettava senza protestare alle leggi del tempio.
Fu la Madonna stessa, attraverso il Vangelo, ad aver rivelato cosa accadde. Infatti non poté essere che proprio lei ad aver riferito agli apostoli come avvenne il concepimento del Figlio di Dio, la sua nascita e la sua infanzia.
Nel riferire le parole che le rivolse l’Angelo, Ti saluto, o piena di grazia, il Signore è con te, fedelmente riportate dall’evangelista Luca, la S. Vergine rivelò tutto di sé. Inconsapevole fino a quell’istante, la sua anima era stata colmata interamente dalla grazia del Signore, così da farla esultare di riconoscenza col canto del Magnificat pronunciato davanti ad Elisabetta quando questa la riconobbe come Madre del Salvatore.
Tale privilegio di santità unica, concesso in previsione dei meriti di Gesù Cristo, fece affermare a Pio IX nella Costituzione apostolica “Ineffabilis Deus” con cui proclamò il dogma dell’Immacolata concezione: “E tale Madre … (Dio) ricolmò – assai più di tutti gli spiriti angelici e di tutti i santi – dell’abbondanza di tutti i doni celesti in modo tanto straordinario, perché Ella, sempre libera da ogni macchia di peccato, tutta bella e perfetta, mostrasse quella perfezione di innocenza e di santità da non poterne concepire una maggiore dopo Dio, e che nessuno, all’infuori di Dio, può abbracciare con la propria mente.”
Va sottolineato che nel concepimento di Gesù ad opera dello Spirito Santo la natura umana e la natura divina di Cristo, ipostaticamente unite, non hanno avuto origine dalla Vergine Maria nel cui grembo Egli si è incarnato mantenendo entrambe, come stabilirono irrefutabilmente i concili di Efeso e di Calcedonia.
Nella perfezione delle opere di Dio, oggi con lo studio della genetica sappiamo che, anche a voler clonare le cellule, da una donna può prodursi solo una donna e lo stesso vale per un uomo. Perciò il cromosoma Y non apparteneva a Maria, bensì alla natura umana di Gesù.
Essendo poi immune dal peccato originale, la maledizione rivolta dal Creatore a Eva e alle sue discendenti non toccò la Madonna, così che ella non partorì con dolore.
Va ricordato che la legge mosaica stabiliva in otto giorni dopo la nascita la circoncisione di un figlio maschio, mentre la madre ne doveva far trascorrere altri trentatré prima di recarsi al tempio per la sua purificazione dal flusso sanguigno. In Luca però non vi è cenno del rito compiuto per la Madre, ma solo dell’offerta di Gesù al Signore così come prescritto per i primogeniti.
Allora come avvenne la nascita del Salvatore?
Attingiamo dalle testimonianze dei mistici (qui): “Quando la Vergine confidò che si avvicinava l’ora del grande evento, il Consorte accese varie lampade e poi uscì dalla grotta. Tornato vide la Vergine pregare genuflessa e allora gli parve che tutta la grotta fosse in fiamme. Quando notò che la soave Consorte era come avvolta da un alone di luce soprannaturale egli, sorpreso e ammirato, si prostrò al suolo in orazione.” Così riferisce Anna Caterina Emmerick della sua visione e continua: “Vidi la luce, che investiva la Vergine, divenir sempre più radiosa in modo che le lampade accese da Giuseppe erano svanite.
A mezzanotte Maria era rapita in estasi, librata per l’aria a una certa altezza dal suolo. Teneva le mani incrociate sul petto. Lo splendore che la irradiava diveniva intanto sempre più fulgido”.
E aggiunge: “Tutta la natura sembrava pervasa di giubilo, comprese le cose inanimate. La rupe pareva animarsi al tocco della luce, che la invadeva. Un fascio luminoso, che aumentava sempre più di chiarezza, irradiava dalla Vergine e saliva fino al più alto dei Cieli. Lassù ferveva una meravigliosa animazione di gloria paradisiaca, che si avvicinava alla terra”.
“Mentre ero assorta in preghiera, io – racconta Santa Brigida di Svezia – vidi il Bambino muoversi nel suo grembo e nello stesso momento, no, proprio in un istante, suo Figlio era nato e da lui scaturiva un tale indicibile sfolgorio che il sole non poteva reggere il confronto.
E questa nascita fu così rapida ed istantanea che io non potei osservare e discernere come e da quale parte del corpo della Vergine il Bambino era nato. Tuttavia vidi subito il Bambino, nudo e splendente, che giaceva a terra. Il suo corpo era pulito e libero da ogni impurità.”
Nello stesso istante la santa udì un soave canto angelico di grande bellezza. E prosegue: “Quando comprese di aver partorito, ella adorò il Bambino con gran cortesia e riverenza con la testa china e le mani unite, e disse: «Sii benvenuto, mio Dio, mio Signore, mio Figlio».”
Paola de Lillo