Successivamente alle apparizioni avvenute nel 1917 a Fatima, Lucia ebbe altri incontri con la Madonna e con Gesù, ma rese noti soli quelli in cui le furono rivolte delle richieste da far conoscere a tutti. In particolare fu invitata a divulgare la comunione riparatrice nei primi cinque sabati del mese chiesta dalla S. Vergine il 10 dicembre 1925 a Pontevedra, in Spagna.
Su richiesta del suo confessore, Lucia domandò a Gesù spiegazioni del numero cinque e, per quel che interessa sottolineare qui, sappiamo che il quinto sabato è dedicato alla riparazione degli oltraggi arrecati alla Madonna attraverso le sue immagini.
All’animo ingenuo e puro di Lucia forse sarà sembrata cosa del tutto nuova che il genere umano, nel suo odio verso la Madre di Dio, potesse architettare a tal punto oltraggi da richiedersi in perpetuo una riparazione specifica. Invece, come accade sempre più frequentemente anche ai nostri giorni, il secolo che si era appena concluso aveva visto impensabili episodi di offese e violenze a Maria proprio attraverso le sue immagini più venerate.
Ma coloro che di quegli episodi furono spettatori impotenti non sapevano che la S. Vergine avrebbe trionfato di tanto odio non solo ripristinando la sua devozione nei luoghi in cui essa era stata soppressa ma, come attendiamo ancor oggi, promettendo a Lucia che alla fine il suo Cuore Immacolato avrebbe vinto e nel mondo vi sarebbe stato finalmente un tempo di pace.
Andiamo quindi a Lourdes negli anni che precedettero quelle apparizioni. Siamo alla fine del ‘700, in piena rivoluzione francese, quando i giacobini decisero di sopprimere qualsiasi religione che non fosse quella della Dea Ragione in nome del progresso e dei lumi. che ridussero in bestie sanguinarie e acefale i loro seguaci.
Come riferisce Vittorio Messori nel suo documentatissimo Ipotesi su Maria, nella regione in cui era ricompresa Lourdes vi era una millenaria devozione alla S. Vergine venerata nel vicino Santuario di Le Puy, sul cui altare troneggiava l’immagine di una Madonna nera universalmente conosciuta e invocata.
Ogni anno, in giorni stabiliti, sul castello dei feudatari di Lourdes veniva ammainata la bandiera del Conte per issarvi il vessillo della S. Vergine e, piedi o a cavallo, i fedeli si recavano al Santuario per portarvi non solo la propria testimonianza di fede ma anche i prescritti omaggi feudali.
Ma nel 1794, cinque anni dopo lo scoppio della Rivoluzione, dei vandali, come li definisce Messori – o degli assatanati, come più realisticamente ci pare di doverli definire noi – nel loro odio distruttivo prelevarono l’immagine della S. Vergine dal Santuario e, dopo averla portata in giro per vilipendio su un carro di letame, la bruciarono con le carte dell’archivio storico del tempio.
Chi ha vinto quella battaglia di fede lo sappiamo tutti e i particolari della vittoria, sempre grazie al libro di Vittorio Messori, li abbiamo raccontati nell’articolo Perché la Madonna è apparsa proprio a Lourdes.
Ma la Madre di Dio di lì a pochi anni avrebbe dimostrato che, se subì ingiurie per aver visto trascinata una sua immagine su un carro di letame, su un carro di ugual uso avrebbe visto la sua vittoria. Di più: se un’immagine tanto preziosa e venerata era stata oltraggiata e data alle fiamme, un’altra immagine, logora e di nessun valore, rinvenuta nel deposito di un rigattiere, sarebbe diventata un’icona miracolosa onorata in tutto il mondo.
Siamo a Pompei nel 1875, pochi anni dopo le apparizioni di Lourdes, Bartolo Longo ha già in mente di edificare una Chiesa e di creare una Confraternita del Rosario e, per divulgare tale pratica tra i contadini, d’accordo con il Parroco di S. Salvatore ha affidato a tre missionari di condurre una missione – come la definisce nei suoi scritti – che sarebbe terminata il 14 novembre con la recita del Rosario.
Per soddisfare le condizioni utili a guadagnare le indulgenze previste dalla liturgia ecclesiastica del tempo gli occorre un quadro, rigorosamente dipinto ad olio, dinnanzi al quale il popolo potesse pregare.
Mancava un giorno al termine della missione e, soprattutto, gli mancavano i denari per acquistare un dipinto di valore. Gli sovviene la Provvidenza. Di buon mattino si muove per Napoli alla ricerca di un sacerdote che nel suo pensiero avrebbe potuto essergli di aiuto e, mentre di aggira senza saper bene dove trovarlo, si imbatte proprio in lui che, sentita l’urgenza, lo indirizza ad una suora alla quale aveva lasciato il quadro di una Madonna del Rosario, malconcia e senza alcun valore, che tempo prima aveva comprato da un rigattiere per pochi quattrini.
La buona suora corre a prendere il dipinto ma alla sua vista Bartolo Longo si sente venir meno. Lasciamo parlare lui stesso: “Ohimè! Provai una stretta al cuore al primo vederlo. Era non solo una vecchia e logora tela, ma il viso della Madonna meglio che di una Vergine benigna, tutta santità e grazia, pareva piuttosto quello di un donnone ruvido e rozzo. – Chi mai dipinse questo quadro? Misericordia! – non potei io trattenermi dall’esclamare con un’aria tra lo spavento e lo sconforto.
In cuor mio sentiva che i poveri Pompeiani assai malagevolmente si sarebbero disposti a divozione rimirando quella brutta immagine.
Oltre alla deformità e spiacevolezza del viso, mancava pure sul capo della Vergine un palmo di tela; tutto il manto era screpolato e roso dal tempo e bucherellato dalla tignuola, e per le screpolature erano distaccati e caduti qua e là brani di colore. Nulla è a dire della bruttezza degli altri personaggi.
San Domenico a destra sembrava non già un Santo, ma un idiota da trivio; ed a sinistra era una Santa Rosa, con una faccia grossa, ruvida e volgare come una contadina, incoronata di rose.
Anche il concetto storico era sbagliato in quel dipinto. La Regina del Rosario vi era rappresentata seduta e senza diadema in capo: ed in luogo di porgere il Rosario a San Domenico, come è di storia, lo dava a Santa Rosa: e per contrario il Bambino è quegli che consegnava la corona al Patriarca Gusmano.
Stetti in forse se lasciarlo stare, o pure portarlo così in quella distretta. Mi crucciava il pensiero che la Missione era sul finire, e quella sera stessa io aveva promesso ai tre Missionari ed al popolo il quadro del Rosario. E tutti sapevano che io era venuto a bella posta in Napoli per acquistarlo, e lo aspettavano al mio ritorno.
Come comportarmi? ‘Non ci fate troppe riflessioni – disse con dolce accento di rimprovero la pia suora – portatevi il quadro ora stesso: sarà sempre buono a fare che innanzi ad esso si reciti un’Ave Maria.’ Costretto dalla necessità, ma non certo di buon animo, acconsentii. Ma come portarmelo? Ecco un altro intoppo”
L’intoppo, con gran rincrescimento di Bartolo che non riesce a disporre diversamente, si risolve con un carro carico di letame che il giorno seguente porta il quadro a Pompei, così che la sera può avvenire la recita del Rosario con l’acquisto delle indulgenze.
Successivamente il quadro fu fatto restaurare, correggere e abbellire secondo le indicazioni del Beato che così commentava: “Or chi avrebbe creduto possibile che quella vecchia tela, pagata poco più di tre lire, e che faceva allora il suo ingresso in Pompei sopra un carro di letame, era nei disegni della Provvidenza ordinata ad istrumento di salvezza di innumerevoli anime?
E che sarebbe diventata così preziosa, da essere incoronata di fulgidissimi brillanti e di rare gemme?
E poco appresso sarebbe sollevata sopra un ricchissimo trono in un tempio monumentale eretto apposta per essa?
E che avrebbe chiamato ai suoi piedi non solo i poveri contadini di Pompei a recitare il Rosario, ma una folla di adoratori e di pellegrini di tutte le nazioni, divenendo ad un’ora centro di religione, di civiltà, di gloria?
E che avrebbe attirato l’attenzione e l’affetto del sommo Capo di tutta la Cristianità da sospingerlo a dichiarare suo il Santuario di Pompei, rendendolo Pontificio sotto l’immediata giurisdizione del Successore di Pietro?
Oh, se l’avessimo potuto vaticinar noi!… se l’avessero saputo quanti sono oggi figli prediletti della Regina di Pompei che corrono ad offrirle insieme con le suppliche l’obolo della gratitudine, da Malta, da Madrid, da Liverpool, da Coblenza, da Bruxelles, da Varsavia, da Vienna, da Blois, dalla Svizzera, dall’Africa, dall’Oceania, per nulla dire dell’Italia nostra a nessuna seconda in onorarla!
Oh! se avessimo potuto indovinare quel sublime arcano! Saremmo corsi a toglierla da quel sudiciume: e recatala sulle nostre braccia, avremmo voluto portarla a questa Valle abbandonata fra una pioggia di fiori e tra gli osanna di mille voci esclamanti: – Benedetta Colei che è mandata dalla Misericordia del Signore!”
Paola de Lillo