Che succederebbe se qualcuno si chiedesse: chi sono io per condannare il terrorismo islamico? – di Antonio Socci

La N di Nazareno in araboLa condanna di papa Francesco sulle stragi terroristiche di Parigi è stata dura e accorata. Tuttavia la mancanza di ogni riferimento all’islamismo, cioè all’ideologia omicida che muove i terroristi, la depotenzia: è una reticenza ormai costante in Bergoglio che lo rende di fatto “perdente” nel dialogo con l’Islam.

C’è poi un altro problema: si tratta, nel suo caso, di una condanna che di fatto è in contraddizione con i principi del giudizio morale che lo stesso Francesco espose in due famose interviste a Eugenio Scalfari (e che poi trovano conferma nel suo pontificato).

Se infatti ognuno può avere una sua idea di Bene e di Male, se cioè non esistono il Bene e il Male oggettivi, e ognuno deve essere “incitato a procedere verso quello che lui pensa sia il Bene”, come argomentò Bergoglio, allora – ad essere conseguenti – non si possono condannare nemmeno Hitler e Stalin, così come oggi non si possono più condannare quei terroristi islamici che ritengono con le loro azioni sanguinarie di perseguire il Bene supremo in cui credono.

A lungo si è obiettato che quelle interviste rappresentavano più il pensiero di Scalfari che quello del pontefice argentino.

Purtroppo però non è così. Infatti papa Bergoglio non le ha mai smentite (di sicuro non su questi punti specifici) e soprattutto le ha recentemente ripubblicate in un libro con la sua stessa firma, edito dalla Libreria editrice vaticana.

Quindi ne ha ufficialmente ed apertamente rivendicato la paternità.

 

PAROLE INCREDIBILI

Ci sono in particolare due pronunciamenti bergogliani che di fatto impediscono qualunque condanna morale dei terroristi e che sono totalmente in contraddizione con il Magistero bimillenario della Chiesa (com’è noto ogni papa deve attenersi al “depositum fidei” e non può contraddire e capovolgere quanto la Chiesa ha sempre e dovunque insegnato).

Ecco la prima citazione di papa Bergoglio, dall’intervista a Scalfari uscita sulla “Repubblica” del 1° ottobre 2013:

“Ciascuno di noi ha una sua visione del Bene e anche del Male. Noi dobbiamo incitarlo a procedere verso quello che lui pensa sia il Bene … Ciascuno ha una sua idea del Bene e del Male e deve scegliere di seguire il Bene e combattere il Male come lui li concepisce. Basterebbe questo per cambiare il mondo”.

E’ impressionante leggere queste parole avendo davanti agli occhi le immagini delle stragi di Parigi (e di tante altre stragi che il fanatismo islamista perpetra ogni giorno nel mondo).

Queste parole di Bergoglio – come dicevo – sono in totale contraddizione con l’insegnamento di sempre della Chiesa.

Infatti la dottrina cattolica afferma che il Bene e il Male non sono soggettivi, cioè non sono opinioni arbitrarie, ma sono oggettivi e si trovano inscritti nella coscienza, nella legge naturale e più chiaramente ed esplicitamente nella legge di Dio, nei Comandamenti.

Basti qui ricordare le parole di Paolo VI del 12 febbraio 1969:

“la coscienza, di per se stessa, non è arbitra del valore morale delle azioni ch’essa suggerisce. La coscienza è interprete d’una norma interiore e superiore; non la crea da sé. Essa è illuminata dalla intuizione di certi principi normativi, connaturali nella ragione umana (cfr. S. TH., I, 79, 12 e 13; I­II, 94, 1); la coscienza non è la fonte del bene e del male; è l’avvertenza, è l’ascoltazione di una voce, che si chiama appunto la voce della coscienza, è il richiamo alla conformità che un’azione deve avere ad una esigenza intrinseca all’uomo, affinché l’uomo sia uomo vero e perfetto. Cioè è l’intimazione soggettiva e immediata di una legge, che dobbiamo chiamare naturale, nonostante che molti oggi non vogliano più sentir parlare di legge naturale”.

Incurante delle polemiche suscitate con quelle dichiarazioni, nove mesi dopo, papa Bergoglio, in una nuova intervista a Scalfari, uscita sulla “Repubblica” il 13 luglio 2014, tornò sull’argomento e addirittura calcò la mano:

“La coscienza è libera. Se sceglie il male perché è sicura che da esso deriverà un bene, dall’alto dei cieli queste intenzioni e le loro conseguenze saranno valutate. Noi non possiamo dire di più perché non sappiamo di più”.

Una sorta di “chi sono io per giudicare?” anche di fronte al male scelto deliberatamente con l’intenzione di perseguire un obiettivo che è ritenuto giusto (che poi è il vecchio pericoloso adagio per cui “il fine giustifica i messi”).

Questa idea è radicalmente condannata dalla Chiesa come si può leggere nello stesso Catechismo della Chiesa Cattolica che al n. 1756 afferma categoricamente: “Non è lecito compiere il male perché ne derivi un bene”.

Spiega infatti che già “è sbagliato giudicare la moralità degli atti umani considerando soltanto l’intenzione che li ispira, o le circostanze che ne costituiscono la cornice”.

Ma soprattutto afferma: “Ci sono atti che per se stessi e in se stessi, indipendentemente dalle circostanze e dalle intenzioni, sono sempre gravemente illeciti a motivo del loro oggetto; tali la bestemmia e lo spergiuro, l’omicidio e l’adulterio”.

 

RATISBONA RINNEGATA

Questo insegnamento della Chiesa sull’uomo era la cornice anche dello storico “discorso di Ratisbona” con cui, il 12 settembre 2006, Benedetto XVI richiamò l’Islam (ma anche i cristiani e il pensiero laico occidentale) al linguaggio umano più universale, quello della Ragione che riconosce l’oggettività della verità, del Bene e del Male.

Così mettendo in guardia le religioni dall’uso arbitrario e strumentale del nome di Dio a giustificazione della violenza (di quello che non è ragionevole e umano) e mettendo in guardia il pensiero laico dalla sua deriva nichilista che non riconoscendo più alcuna verità oggettiva tradisce la ragione (e l’uomo) e spazza via la distinzione fra il bene e il male.

Il grande Benedetto XVI fu bersagliato di pesanti attacchi polemici per quel discorso, non solo da parte islamica, ma anche da parte laica e cattolico-progressista.

E’ dunque assai tragicomico che in questi giorni proprio certi cattoprogressisti e ultras bergogliani, abbiano riscoperto il discorso di Ratisbona definendolo “profetico”.

Purtroppo papa Bergoglio non ha fatto alcun riferimento alle parole di Benedetto a Ratisbona. E infatti la sua posizione appare debolissima, quasi inconsistente.

Del resto questo mancato richiamo è dovuto pure al fatto che, a quel tempo, fra coloro che criticarono Benedetto XVI, ci fu pure il portavoce di Bergoglio, allora arcivescovo di Buenos Aires, ovvero padre Guillermo Marcó.

Il suo giudizio negativo sul discorso di Benedetto XVI fu pubblicato nell’edizione argentina del settimanale “Newsweek”.

Dopo diversi mesi quel portavoce si dimise (non è chiaro il motivo preciso), però non risulta che le sue dichiarazioni contro Benedetto siano state allora sconfessate dal cardinal Bergoglio, né risultano dichiarazioni dello stesso Bergoglio che solidarizzavano con il papa facendo suoi gli insegnamenti di Ratisbona.

Benedetto XVI fu lasciato solo anche di fronte agli attacchi più pesanti degli islamisti. E oggi la situazione è sempre più drammatica.

 

Antonio Socci

Da “Libero”, 11 gennaio 2015

 

Fonte: Lo Straniero