A forza di sbarazzarsi dei vecchi cimeli nel nome dell’avanguardia, del nuovismo, della liberazione da oppressioni non meglio specificate, della decostruzione, del post-qualunque cosa, della ribellione al principio di non contraddizione, insopportabile retaggio della logica aristotelica, la cultura contemporanea si è ritrovata vuota e triste come una casa sfitta. Nelle sue stanze l’aria si è fatta irrespirabile. La forza scioccante di tanta arte prodotta in opposizione alle convenzioni si è imborghesita, diventando la più bolsa delle convenzioni.
Gli intellettuali “contrarian”, quelli ostili alle idee da salotto e ai loro meccanismi onanistici, si sono rifugiati in bolle culturali sterili come quelle che disprezzavano e dai loro amboni hanno dettato uno sciapo manifesto ideologico: la dimensione del significato è assurda e inutile. Il significato non esiste. E se esiste fa schifo.
Svuotiamo i musei polverosi, bruciamo le vecchie librerie, cancelliamo i dogmi, recidiamo i fili, spariamola grossa, scriviamo tanto e male, rigettiamo la trascendenza e cancelliamo la religione organizzata, diciamo ovvietà che possono sembrare intelligenti ai lettori di Hitchens e agli ammiratori di Cattelan.
Un programma non particolarmente vasto per una generazione che ha fatto una rivoluzione con il fiato corto e per quella successiva che tenta di tenerla in vita con risultati che oscillano fra il ridicolo e il pietoso. Oggi di quell’epoca idolatrata sono rimasti soltanto surrogati. Negli anni Settanta c’erano le immagini potenti di Mapplethorpe, oggi ci intratteniamo con quelle insipide usate da David Bowie in un video che non riesce nemmeno ad aspirare alla blasfemia. Negli anni Ottanta c’era quella musa pop rigogliosa e vitale di Madonna, oggi c’è il suo simulacro asessuato e posticcio, Lady Gaga.
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