È un Francesco assai reattivo e preparato quello che emerge dal libro-intervista sui temi economici oggi in libreria, frutto del dialogo col Papa dei due vaticanisti de «La Stampa». Un Francesco che da un lato non si scompone di fronte alle accuse che qualcuno gli rivolge di essere «marxista», «comunista» e «pauperista»; ma che dall’altro, esponendo il suo pensiero sui temi della povertà…
e della giustizia sociale, risponde indirettamente ad altre critiche, forse ancor più velenose, che serpeggiano in alcuni ambienti ecclesiali che faticano ad accettare un Papa «non imprevisto» ma «imprevedibile»: che il suo magistero sulle questioni sociali sia un magistero di parte, che riflette più gli umori della Chiesa latino-americana che della Chiesa universale; o ancora, che le sue posizioni a livello di etica economica abbiano un debole riferimento teologico, siano perlopiù frutto di personali intuizioni che non sempre si raccordano alla Dottrina sociale della Chiesa.
Certamente Francesco è un Papa atipico, che sorprende non solo per la nuova forma di Chiesa che intende affermare nella modernità avanzata (una Chiesa in «uscita», presente nelle periferie del mondo, non arroccata nelle sue certezze), ma anche per uno stile comunicativo diretto e immediato, che fa largo uso del dialogo con i professionisti dell’informazione e poco ricorso alle dichiarazioni ufficiali.
Ma dietro lo sbriciolamento del suo pensiero sui temi etici e sociali più caldi del momento è ben presente l’impianto teologico, il riferimento ai Padri della Chiesa, il richiamo ai passi più importanti del magistero petrino nel corso della storia.
Ciò è del tutto evidente anche nel libro fresco di stampa «Questa economia uccide», nel quale il Papa ribadisce anzitutto i concetti che su questi temi più gli sono più cari: che la «globalizzazione dell’indifferenza» è il grande rischio che il mondo d’oggi sta correndo; che viviamo in un sistema che ha alimentato non soltanto la ricchezza mondiale, ma anche le disparità e la «cultura dello scarto»; che l’attenzione per i poveri non è un’opzione politica o ideologica, ma anzitutto un criterio del Vangelo, il protocollo sulla base del quale i cristiani e gli uomini di buona volontà saranno giudicati; che la Chiesa non condanna i ricchi ma l’idolatria della ricchezza, che rende impermeabili al grido dei poveri.
Ma a fianco di questi grandi appelli, Francesco fa esplicito riferimento nell’intervista ai due criteri che la Chiesa oggi considera alla base degli ordinamenti socio-economici e politici: da un lato il principio della destinazione universale dei beni; dall’altro la scelta preferenziale dei poveri.
Il primo principio non è di per sé contrario a quel diritto alla proprietà privata a cui la Chiesa ha sempre guardato con favore, ritenendolo un fattore naturale e inalienabile. Ma proprio il richiamo di Francesco alla «Populorum Progressio» di Paolo VI, rende conto del primato che oggi la Chiesa attribuisce al criterio della destinazione universale dei beni, che supera (anche se non annulla) il diritto di proprietà.
Si tratta di un primato – come ha più volte sottolineato nei suoi scritti il teologo Giannino Piana – che si fonda anzitutto su una ragione spirituale, che scaturisce dalla convinzione cristiana che i beni della terra sono un dono che Dio ha elargito all’intera famiglia umana, per cui devono essere partecipati da tutti, secondo la regola della giustizia, inseparabile dalla carità; ma che si regge anche su una precisa ragione sociale, tesa a ridurre gli squilibri tipici di un sistema capitalistico che enfatizza eccessivamente il diritto di proprietà e la legge del più forte (alimentando dunque le sperequazioni sociali, lo sfruttamento di popoli, la devastazione dell’ambiente naturale).
Anche «la scelta preferenziale dei poveri» – ricorda Papa Francesco – è un leit-motiv della tradizione e del magistero della Chiesa cattolica, forse oggi un po’ passato sotto silenzio per il timore che il messaggio cristiano venga interpretato più in chiave orizzontale che verticale, più come salvezza sociale che spirituale.
Ma il fatto che molti Padri della Chiesa (e anche vari pontefici della nostra epoca) abbiano ricordato ai cristiani il dovere di restituzione, o di non vivere nel superfluo quando molti mancano del necessario, o il ruolo che il Vangelo riserva ai poveri (come destinatari della buona novella), indica la tensione che deve permeare una società che voglia favorire un vero processo di liberazione umana.
Si tratta, osserva ancora il Papa, non soltanto di attivarsi individualmente per lenire le ferite dei più deboli o di dar vita a opere di carità che compensino gli squilibri sociali; ma di rendere più etici i programmi politici ed economici dei vari governi e di operare quel cambio di sistema che imponga limiti all’autonomia dei mercati e alla speculazione finanziaria e affronti le cause strutturali della povertà (favorendo una miglior distribuzione delle risorse, creando posti di lavoro, promuovendo quanti sono esclusi). Con la scelta preferenziale dei poveri la Chiesa non intende favorire un processo di pura liberazione sociale.
Ma non può che stare dalla parte degli ultimi, sia per essere fedele al suo messaggio, sia riconoscendo che l’estensione dei diritti di cittadinanza rende più civile e armonica l’intera umanità.
È a fronte di questi riferimenti evangelici e al magistero ecclesiale che Francesco non teme le critiche di passare per un Papa marxista o pauperista. L’attenzione ai poveri – ricorda Bergoglio – non è un’invenzione del comunismo, ma è nella tradizione della Chiesa, che talvolta si dimentica della sua missione originaria e necessita di correzione e conversione.
articolo pubblicato su Vatican Insider