Padre José Gabriel Brochero (1840 – 1914), conosciuto come il Cura Brochero, è stato un pioniere nell’uscire verso “le periferie geografiche e esistenziali per portare a tutti l’amore, la misericordia di Dio”. Lo scrive Papa Francesco nella Lettera per la Beatificazione, questo sabato in Argentina, del sacerdote chiamato anche “prete gaucho” e vissuto tra la metà dell’Ottocento e i primi del Novecento. La missiva è indirizzata all’arcivescovo di Santa Fe e presidente della Conferenza episcopale argentina, mons. José Maria Arancedo.
In sella alla sua mula “malacara”, il Cura Brochero percorse i cammini desolati dei 200 chilometri quadrati della sua parrocchia, per cercare, casa per casa, i bisnonni e gli avi degli argentini di oggi, “chiedere loro se avevano bisogno di qualcosa e invitarli a fare gli esercizi spirituali di Sant’Ignazio di Loyola”.
Così Papa Francesco tratteggia la figura di padre José Gabriel Brochero, un pastore con l’odore delle pecore, “che si fece povero fra i poveri”, che fu come una “carezza di Dio” per il nostro popolo.
“Non è rimasto nella sacrestia a pettinare le pecore”, scrive il Papa. Girava con la Parola di Dio e quando lo invitavano a bere del mate e chiacchieravano, Brochero parlava in un modo in cui tutti lo capivano perché quello che diceva sgorgava dall’amore che aveva per Gesù.
Al centro della sua azione pastorale c’era la preghiera. Quando arrivò nella sua parrocchia, cominciò a portare le persone a Cordoba per fare gli esercizi spirituali con i gesuiti.
Papa Francesco ricorda quanto lavoro occorse per fare la Casa di esercizi spirituali nella sede parrocchiale, ricorda la preghiera, lì, davanti al Crocifisso, e come tutto culminasse con la confessione con un sacerdote pieno di misericordia: “moltissima misericordia”, sottolinea.
“Guai che il diavolo mi rubi un’anima”n lo faceva esclamare il suo zelo missionario e questo coraggio che scaturiva dal suo cuore compassionevole come quello di Gesù lo mosse a conquistare per Dio anche malviventi e persone difficili.
Migliaia di uomini e donne grazie a lui lasciarono il vizio e le lotte. Tutti ricevevano i sacramenti durante gli esercizi spirituali e con quelli “la luce della fede per essere buoni figli di Dio, buoni fratelli, buoni padri e madri di famiglia”, nella grande comunità aiutandosi l’un l’altro.
Il discorso di Papa Francesco punta, poi, sull’attualità pastorale del Cura Brochero che è quella di essere stato un pioniere nell’uscire verso le periferie geografiche e esistenziali per portare a tutti l’amore di Dio.
“Non rimase – sottolinea il Pontefice – nell’ufficio parrocchiale”, ma si spese sulla sua mula e terminò la sua vita malato di lebbra a forza di cercare la gente come un sacerdote che percorre le strade per la fede.
“Questo – dice il Papa – è quello che Gesù vuole oggi, discepoli missionari”, gente che va per strada per la fede! E Papa Francesco sottolinea che Brochero era un uomo “normale, fragile”, come ciascuno di noi ma che si lasciò lavorare il cuore dalla misericordia di Dio. Ha saputo uscire dalla caverna “dell’egoismo meschino che tutti abbiamo” e ha superato con l’aiuto di Dio quelle forze interiori delle quali il demonio si serve per “incatenarci” alla comodità, a cercare di divertirci in ogni momento, a scansare il lavoro.
Brochero fu fedele fino alla fine: continuò a pregare e celebrare la Messa anche quando fu cieco e lebbroso.
“Lasciamo che il Cura Brochero entri oggi, con la mula e tutto, nella casa del nostro cuore” per portarci all’incontro con Gesù che – dice il Papa – “ci libera dai legami per uscire in strada a cercare il fratello, a toccare la carne di Cristo in chi soffre e ha bisogno dell’amore di Dio”.
E il Papa fa notare che solo così si può gustare l’allegria del Cura Brochero, un “anticipo della felicità che gode ora come beato nel cielo”.
E’ stato il cardinale Angelo Amato, prefetto delle Cause dei Santi, a presiedere il rito, in rappresentanza del Pontefice, nella città che porta adesso il nome del nuovo Beato, Villa Cura Brochero, nella provincia di Cordoba.
Debora Donnini
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La santità dei semplici, quella che dopo la morte ti porta all’onore non cercato, quello degli altari, perché hai ricercato nella vita il servizio del massimo onore: fare il bene nel nome di Gesù.
È quello che si potrebbe dire di padre José Gabriel Brochero, “el cura gaucho”, il sacerdote gaucho, come veniva familiarmente chiamato da coloro che lo vedevano arrivare a cavallo a svolgere il suo ministero di sacerdote e soprattutto di uomo di Dio, con un grande cuore per chi viveva nella miseria o nella sofferenza fisica.
Un amore generoso e gratuito, come ricorda il cardinale Angelo Amato:
“Era un sacerdote totalmente dedito al bene e alla santificazione dei fedeli, soprattutto dei più bisognosi. Pur avendo concluso l’università di Córdoba con il titolo di Maestro in Filosofia, il suo linguaggio era semplice, non ricercato, detto con parole ed espressioni locali, appartenenti al lessico popolare e facilmente comprensibili da tutti. La sua predicazione toccava i cuori, convertendo anche i peccatori più incalliti”.
Nel 1867 Cordoba viene infestata dal colera. Padre Brochero è sulla prima linea, la più pericolosa, quella che chiede di inginocchiarsi accanto a malati e moribondi.
Due anni dopo, viene nominato parroco a Villa del Tránsito, città che oggi porta il suo nome. Il cavallo del prete gaucho arriva ovunque vi sia qualcuno che abbia bisogno di aiuto, per l’anima e il corpo.
Con le sue mani e con l’aiuto della sua gente costruisce chiese, cappelle, scuole, apre strade attraverso le montagne, promuovendo il progresso della regione.
Ma soprattutto promuove la fede, trasmettendola con lo stile di Sant’Ignazio di Loyola:
“Lo stile dell’evangelizzazione brocheriana è caratterizzato dagli Esercizi Spirituali, bagno dell’anima, scuola delle virtù e morte dei vizi.
Brochero era convinto dell’efficacia degli esercizi spirituali per comunicare la luce della verità di Dio alle intelligenze e per far trionfare la grazia nei cuori più ribelli.
Una parola speciale il Brochero la rivolge ai suoi fratelli nel sacerdozio, ai quali ricorda tre impegni: essere perseveranti nel ministero della Sacra Dottrina, dispensando con generosità la parola di Dio; non stancarsi mai di essere misericordiosi, pregando, celebrando, adorando e perdonando; esercitare in letizia il ministero sacerdotale: è nella gioia che fiorisce la carità e la santità”.
In vecchiaia arriva la grande prova. Padre Brochero si ammala di lebbra e per il resto dei suoi anni – morirà nel 1914 – il prete gaucho non più in sella condividerà in tutto la vita delle persone colpite dal terribile morbo, che lo priverà dell’udito e della vista.
Ma non del suo dinamismo di carità, che gli fa dire in ultimo: “Ora ho tutto pronto per il viaggio”.
Alessandro De Carolis
Testo proveniente dal sito di Radio Vaticana