I cristiani difendono il vino perché fa bene agli uomini. Gli astemi ne scoraggiano il consumo perché, secondo loro, li distrugge. Le loro coscienziose conclusioni sono diverse, ma le loro coscienze sono le stesse. Gilbert K. Chesterton
Dire “Tutti a tavola!” in questi giorni è come una chiamata alle armi. Ma sarebbe l’unica cosa intelligente da fare.
Imbandire un’unica grande tavolata a cui invitare: la Presidente Boldrini, insieme alle modelle in bikini di Intimissimi e alla mia vicina con cui ci salutiamo sempre dicendo: “Vado, che quelli (marito e figli) tra poco reclamano il cibo”; invitare anche il signor Guido Barilla e Dario Fo e ogni sorta di assembramento umano che condivide lo stesso tetto (la famiglia molto tradizionale, il bamboccione che vive con la mamma vedova, la coppia gay, il musulmano con le sue mogli, il single per scelta).
E poi vediamo cosa si dicono, senza usare hashtag (dall’inglese hash – cancelletto – e tag – etichetta – viene usato nel web, soprattutto Twitter, per rimandare a parole-chiave) .
A questa tavolata assisterei con piacere, tutto quel che riguarda il modo in cui la pubblicità rappresenta la realtà mi interessa un po’ meno. Nella sua recente intervista ad Antonio Spadaro di Civilità Cattolica il Papa ha detto, a proposito delle grandi questioni come aborto, matrimonio, omosessualità: «Io non ho parlato molto di queste cose, e questo mi è stato rimproverato. Ma quando se ne parla, bisogna parlarne in un contesto». Ecco, la pubblicità è tutto fuorché un contesto.
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