Non sono, sinceramente, in grado di valutare la novità della lettera motu proprio data dal Papa sulla riforma del processo matrimoniale per la dichiarazione di nullità (parlo al singolare perché l’altra lettera è dedicata alla questione delle chiese orientali, delle quali so ancora meno se possibile). Credo che per valutare bene la portata delle novità introdotte da Francesco bisognerebbe sapere quale fosse la procedura prima, sulla carta, e come andassero le cose nella realtà, quindi avere una qualche dimestichezza con la Romana Rota o almeno avere un parente entro il terzo grado che ci avesse avuto qualcosa a che fare.
Dico la verità, spero solo che la cosa non mi debba riguardare personalmente – credo sia sempre una sofferenza – e sono contenta che chi dovesse trovarsi ad affrontare il fallimento del proprio matrimonio possa ricevere più accoglienza, la possa avere, se ne ha diritto davvero, velocemente (la forma brevior sarà di trenta giorni) e gratis (la Romana Rota darà il buon esempio, sperando che si adeguino tutte le diocesi, perché i vescovi saranno molto più coinvolti di adesso): non si tratterà più dunque di un procedimento che solo i ricchi potranno permettersi.
Come dicevo, non sono in grado di valutare la portata delle novità, ma soprattutto non so se mi interessano molto come fedele. Sono contenta che la cosa sia stata affrontata prima del Sinodo, perché credo che la Chiesa abbia cose molto più importanti di cui occuparsi.
La nullità riguarda infatti alcune fattispecie molto particolari (aver taciuto di gravi malattie contagiose, della sterilità, il rifiutare figli eccetera), e riguarda persone che dopo quella prima esperienza abbiano deciso di risposarsi cominciando un cammino di fede vero e serio con un’altra persona.
Non credo che siano folle… Quei casi verranno valutati uno ad uno, più velocemente di oggi e con maggiore misericordia. Bene per loro, mi fido del giudizio che darà la Chiesa, mia madre, sapendo che non sarà leggera: ne va della salvezza eterna di quelle persone.
Quello che mi interessa è il discorso che precede questa decisione del Papa: moltissimi dei matrimoni celebrati in chiesa, ci aveva ragionato più volte Benedetto XVI, non sono validi, spesso “per grave deficit nella comprensione del matrimonio stesso tale da determinare la volontà” – come aveva detto il Papa a gennaio, all’ultima inaugurazione dell’anno giudiziario della Romana Rota –.
“La crisi del matrimonio, infatti, è non di rado nella sua radice crisi di conoscenza illuminata dalla fede, cioè dall’adesione a Dio e al suo disegno d’amore realizzato in Gesù Cristo. Vi è oggi un gran numero di fedeli in situazione irregolare, sulla cui storia ha avuto un forte influsso la diffusa mentalità mondana”.
Nel matrimonio infatti sono gli sposi a essere ministri del sacramento, ed è un problema se non aderiscono o non capiscono quello che stavo facendo.
Mi sembra evidente che il grosso lavoro della Chiesa debba essere quello non solo di prevenire i fallimenti matrimoniali, ma soprattutto di continuare (ritornare?) a essere profetica, annunciando che il sacramento del matrimonio ti introduce a una forma diversa di amore, che ha poco, direi niente a che vedere con quello mondano: infatti quando Gesù ne parla ai suoi discepoli, loro gli rispondono “se le cose stanno così non conviene sposarsi”.
L’amore di Cristo è qualcosa che umanamente “non conviene”, perché il cuore umano, senza la grazia, non è capace dell’amore richiesto dal per sempre del sacramento.
“Astenersi perditempo” dovrebbe essere il cartello affisso all’ingresso degli uffici matrimoni delle chiese. L’amore cristiano è un’altra cosa. È credere alla promessa di Gesù, che ci offre la possibilità di entrare in una dinamica di amore trinitario.
Se mi sposo chiedendo alla Chiesa il sacramento posso ricevere la grazia, con la mia collaborazione, di amare come ama Gesù, e quindi con una qualità di amore sostanzialmente diverso da quello del mondo.
Credo che tanti problemi, tanti equivoci vengano quando si tenta di far diventare la proposta del matrimonio, che è per i discepoli, una proposta di massa: è vero, c’è una ragionevolezza naturale nello stare insieme e nel generare la vita e nel crescere figli all’interno di un’unione stabile, ma la proposta umana, è stata sovrapponibile a quella cristiana fino a qualche tempo fa, all’interno della cultura borghese.
Oggi la frattura fra la morale e l’avventura cristiana è chiara, e non so se sia del tutto un male.
L’importante è che si sappia, e che la Chiesa sempre si ricordi di essere vox clamans in deserto, non un modello di massa. Per tutti i battezzati, sì, ma uno a uno, pronti a vivere l’avventura della conversione personale che è un matrimonio, non di massa.
Fonte: il blog di Costanza Miriano