Vorremmo sapere di più su questa laboriosa e inattesa venuta di Magi, intrepidi e in apparenza ingenui, che d’improvviso si affacciano, per subito allontanarsi e scomparire sulla strada del ritorno al loro Paese. Ameremmo conoscerne la provenienza e l’identità, sapere cosa significa la stella, così docile e benigna, sorta ai loro occhi e poi quieta e intelligente guida e compagna nel cammino. E, ancora, desidereremmo conoscere la natura e il senso di quei doni estratti dagli scrigni.
“Ma l’evangelista – chiosa Inos Biffi – non si sogna affatto di soddisfarci in queste nostre curiosità, così come ci lascia ai nostri interrogativi sui contenuti storici precisi di quella venuta”. Egli intende illustrarci un messaggio: quando nasce Gesù si accende una stella che è una chiamata silenziosa e irresistibile di uomini lontani ma disponibili e attenti a Cristo.
Predicava san Bernardo: «Guardate e vedete quale vista penetrante abbia la fede; considerate con molta attenzione che occhi di lince abbia chi riconosce il Figlio di Dio mentre succhia il latte, chi lo riconosce sospeso a una croce e morente. Il ladrone lo confessa sul patibolo, i Magi nella stella; quello confitto coi chiodi, questi avvolto nei panni. Non vi dà fastidio, o Magi, l’umile dimora della stalla, la povera culla della mangiatoia? Non vi scandalizza la presenza di una povera madre, né l’infanzia di un bambino che succhia il latte?».
C’è sempre sproporzione tra quello che la fede immediatamente vede e quello che, confidentemente, crede. E la gioia messianica, che incomincia quaggiù e che può stranamente convivere con la passione. Teresa di Lisieux ha questa singolare riflessione sulla stella: «Talvolta, quando il cielo è coperto di nuvole, la sera senza luci è triste per Gesù, nell’ombra. Per rallegrare Gesù Bambino, fatti ardente di luce, brilla di tutte le tue virtù, come una stella»
Dei Magi non conosciamo in realtà neanche il numero; Matteo, riferendo l’episodio dell’adorazione ricorda soltanto che «alcuni Magi giunsero da Oriente» (2, 1) senza specificarne il numero. Il fatto che nell’iconografia tradizionale e nella letteratura più tarda, essi propongano un numero ternario dipende presumibilmente dai doni che recarono al Bambino: «Poi aprirono i loro scrigni e gli offrirono in dono oro, incenso e mirra» (2, 11).
Se, infatti, già in età antica, le rappresentazioni iconografiche raffigurano tre Magi, come nella celebre cappella greca di Priscilla del III secolo, non mancano casi in cui gli offerenti variano in numero di due, quattro e persino sei, forse per ragioni di pura simmetricità. Attorno a queste figure si è creata, nel medioevo, e, segnatamente, nel XII secolo, un’affabulazione leggendaria che attribuisce i nomi di Gaspare, Melchiorre e Baldassarre ai re, anche se un graffito rinvenuto nel complesso monastico egiziano di Kellia, riferibile al VII-VIII secolo, pare già menzionare i nomi Gaspar, Belchior e Bathesalsa.
Fonte: L’Osservatore Romano