La fine del mondo non è adesso, lo abbiamo visto. I cristiani, come insegnava Gesù, non si preoccupano dell’ora e del giorno, ma preparano costantemente lo spirito per il momento della risurrezione, vivendo sempre operosamente la vita come un tempo ultimo, cioè definitivo e decisivo. Ma il contrario esatto di ciò insegna invece la cultura moderna a partire almeno dall’illuminismo, ovvero quell’epoca di disgregazione sistematica del senso della verità delle cose che ha preteso di riscrivere daccapo e a propria immagine e somiglianza la storia dell’uomo, inventandosi per esempio categorie funzionali come quella di “Medioevo”.
Dall’illuminismo in poi, il “Medioevo” è servito come capro espiatorio di ogni nefandezza o sciocchezza allo scopo di distrarre l’attenzione dai veri responsabili, cioè quelle molteplici “scuole del sospetto” (le ideologie, i relativismi, i nichilismi) che in questo modo hanno potuto proliferare e fare scempi. Uno dei cavalli di battaglia di questa falsificazione della realtà è il presunto oscurantismo generato dallo spirito della religione che la Chiesa Cattolica avrebbe appositamente alimentato per dominare gli uomini e che i vari poteri politici avrebbero volentieri favorito sperando in un condominio. Dunque i “medioevali” – dice la falsificazione illuminista – credevano a tutte le scempiaggini che preti e frati s’inventavano per tenerseli buoni; per esempio alla fine tutte le cose prodotta dalla venuta dell’Anticristo nell’anno Mille.
Sta del resto scritto ne l’Apocalisse che, dopo mille anni di cattività alla catena dell’arcangelo san Michele, Satana sarebbe stato liberato per spadroneggiare finché Cristo, tornando per la seconda e definitiva volta, non avrebbe posto fine ai suoi disastri e stabilito la giustizia per sempre: «Vidi poi un angelo che scendeva dal cielo con la chiave dell’Abisso e una gran catena in mano. Afferrò il dragone, il serpente antico – cioè il diavolo, satana – e lo incatenò per mille anni; lo gettò nell’Abisso, ve lo rinchiuse e ne sigillò la porta sopra di lui, perché non seducesse più le nazioni, fino al compimento dei mille anni. Dopo questi dovrà essere sciolto per un po’ di tempo» (Ap 20, 1-3).
Ora, che i “medioevali” abbiano vissuto atterriti gli ultimi anni prima del Mille lo sappiamo tutti. Lo sappiamo tutti perché di questi e di altri oscurantismi dell’“età buia di mezzo” tutti abbiamo letto. Dove? Difficile ricordarsene. Certamente comunque non in libri di storia fatti come tale disciplina comanda. Perché in realtà le paure dell’anno Mille nei testi veri non ci sono. È solo una colossale montatura.
Parte di questo falso mito potrebbe peraltro basarsi su quel mai sopito, e in realtà solo rimandato, senso della fine imminente che pervadeva i primissimi cristiani, alcuni persino testimoni diretti della predicazione di Gesù. Per loro, il ritorno di Cristo poteva, legittimamente, sembrare cosa imminente; ma poi i Padri della Chiesa, abili sistematori di ottima dottrina, dissiparono il campo dalle illazioni e dalle facili suggestioni – pur ritenute vere da certuni in buona, ottima fede –, ricordando che lo stesso Gesù definisce vano il voler interrogare le stelle circa l’ora e il giorno della fine, nonché peccato l’insistervi.
Si dice che la fantomatica paura “medioevale” dell’anno Mille sarebbe stata salmodiata dalle labbra di sin troppo facili profeti, nella formula «mille e non più mille», che sarebbe un “detto di Gesù”. Ma Gesù non lo ha mai detto. E così nel Mille non accadde proprio alcunché, nessuno si spaventò sul serio e la falsificazione della storia ha dovuto essere riscritta una volta in più, rimandando la data al “più mille”. Il “Medioevo”, ancora, non c’entra affatto.
Che quella delle paure della fine del mondo “tipiche” nell’anno Mille sia in realtà solo una falsa leggenda costruita assai più tardi, cioè nei rinascimentali Annali detti di Hirsau (1511-1513), e questo precipuamente per gettare disprezzo sull’Alto “Medioevo”, venendo in seguito rilanciata in grande stile dal Romanticismo ottocentesco, lo illustra con rigore uno specialista del calibro dello storico francese Georges Duby in un paio di bei libri, quali L’Anno Mille. Storia religiosa e psicologia collettiva (trad. it. Einaudi, Torino 2001) e Mille e non più Mille. Viaggio tra le paure di fine millennio (con Chiara Frugoni, trad. it., Rizzoli, Milano 1999).
Un solo scritto “medioevale” parla infatti di eventi strabilianti e inquietanti avvenuti nel Mille, il Chronicon (o Chronographia) del monaco benedettino Sigebert di Gembloux, che descrive il periodo tra il 381 e il 1111: ma è un testo del secolo XII. Parecchio successivo al Mille. Al massimo, cioè, Sigebert riporta, riferisce, copia notizie di altri. Il forte sisma del Mille di cui parla nel suo Chronicon quel buon monaco lo trae per esempio dagli Annales Leodienses, ma le fonti delle sue altre “notizie”? E per di più Sigebert tace completamente dei presunti terrori che si sarebbero diffusi nella popolazione cristiana del “Medioevo” all’avvicinarsi del Mille. Per trovarne le prime tracce occorre appunto attendere il secolo XVI.
Nota del resto bene Duby, e più volte, che certamente i cristiani di allora attendevano, come da Vangelo, la fine del mondo e la risurrezione dei morti, ma la cosa ha sempre prodotto semmai maggior pietà religiosa, più voglia di ravvedimento, grande impegno missionario, e tutto quel fiorire di opere caritative e di conversioni che hanno fatto grande l’età della fede. È proprio infatti a partire dall’anno Mille che gli storici parlano di “Rinascimento medioevale” nelle arti, nelle industrie, nell’architettura, persino nella teologia e nella filosofia, insomma nella civiltà tutta. Nei cristiani, cioè, la “vicinanza” del regno celeste genera gioia, mai sconforto illuminista.
Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana