A seguito della morte di Vincent Lambert è stata resa nota una Dichiarazione congiunta di sei leader religiosi della città di Reims, città dove è stato ucciso il paziente quarantaduenne. I firmatari sono il rabbino Shlomo Amar; Aomar Bendaoud, imam della Grande Moschea; i pastori Xavier Langlois e Pascal Geoffroy, della Chiesa protestante unita di Francia; l’arcivescovo Eric de Moulins-Beaufort e il vescovo ausiliare Bruno Feillet. Di questa dichiarazione tralasciamo le affermazioni di principio, tanto ricche di buoni sentimenti quanto assai vaghe. Concentriamo la nostra attenzione invece su alcuni passaggi critici.
Primo passaggio problematico: “Oggi il nostro pensiero è rivolto con intensità a coloro che si sono presi cura del signor Lambert: i medici e le équipe dell’ospedale di Reims, così come gli avvocati e i magistrati che erano incaricati di chiarire la situazione del signor Lambert”. Prego? Ma lor signori che trattano del sacro non hanno compreso che i soggetti prima elencati non si sono presi cura di Vincent, ma si sono presi cura di ucciderlo?
La domanda retorica trova risposta nel secondo passaggio problematico di questa dichiarazione congiunta: “Riconosciamo senza riserva che appartiene alla dignità di ogni essere umano rinunciare a trattamenti ritenuti non necessari, sproporzionati o suscettibili di causare un ulteriore stato di sofferenza, a condizione che tale decisione non metta in pericolo la vita di nessun altro”.
Sorvoliamo sull’espressione “suscettibili di causare un ulteriore stato di sofferenza” perché non tutti i trattamenti che incrementano la sofferenza di un paziente configurano ipso facto accanimento terapeutico o sono contrari alla dignità personale e sorvoliamo sulla bizzarra espressione “a condizione che tale decisione non metta in pericolo la vita di nessun altro” (e se l’interruzione di trattamenti ritenuti accanimento terapeutico attentasse alla vita del paziente stesso, non si dovrebbe allora considerare tali trattamenti proporzionati?).
Sorvoliamo su tutto questo e domandiamoci: secondo i sei saggi di cui sopra, tra cui ahinoi due alti prelati cattolici, i trattamenti a cui era stato sottoposto il povero Lambert configuravano accanimento terapeutico? Pare proprio di sì, dal momento che il loro pensiero affettuoso è rivolto anche ai medici che hanno preso in carico il caso di Lambert e dal fatto che la Dichiarazione afferma che “la situazione di Lambert era singolare. Pertanto, le decisioni adottate non possono essere trasposte in quanto tali a casi apparentemente simili”.
Ciò a dire: qui acqua e cibo non erano da intendersi come mezzi di sostentamento vitale come accade nella maggior parte dei casi, bensì erano terapie sproporzionate.
Ma abbiamo spiegato più volte che nel caso di Lambert idratazione e nutrizione assistite erano trattamenti proporzionati perché soddisfacevano il fine loro proprio, che era quello di mantenere in vita il paziente.
Per i sei leader religiosi, al pari dei medici e giudici che hanno condannato a morte Lambert, invece mantenere in vita una persona fortemente disabile, nutrendola e idratandola, è accanimento terapeutico.
Infine un’affermazione che, a voler essere davvero tanto generosi, appare perlomeno ingenua: “Il nostro Paese ha finora cercato di trovare un modo equo per sostenere al meglio, nel contesto altamente tecnico in cui viviamo, le persone alla fine della loro vita e coloro che sono parzialmente o totalmente privi di capacità comunicative”.
Proprio il caso Lambert invece prova come la Francia non solo stia percorrendo a rotta di collo il pendio scivoloso dell’eutanasia, bensì si sia gettata nel vuoto del dirupo della “dolce morte”.
Questa dichiarazione prova ancora una volta che anche in casa cattolica – come accennato, due firmatari della stessa sono vescovi cattolici – la dinamica involutiva relativa ai principi non negoziabili ha seguito delle precise tappe.
Prima il rifiuto netto di eutanasia, aborto, eccetera. Siamo nel periodo in cui pontefici erano Giovanni Paolo II e Benedetto XVI. Poi il silenzio omertoso. Il periodo è quello dei primi anni di pontificato di Francesco. Poi l’accettazione supina. Il periodo è quello attuale, il periodo di eutanasia della Chiesa.
Commento
L’ambiguità era già patente nella “Nuova carta degli Operatori Sanitari” presentata dalla Santa Sede durante la “Conferenza stampa di presentazione della XXV Giornata Mondiale del Malato”. Infatti la sezione “Istruzioni per il fine vita” giustificava in qualche modo l’eutanasia con l’affermazione “Tema ugualmente rilevante è quello della nutrizione e idratazione, anche artificialmente somministrate (art. 152). Considerate tra le cure di base dovute al morente, quando non risultino troppo gravose o di alcun beneficio”.
La “ratio” di quel testo sembrava essere lo sdoganamento dell’eutanasia da parte della Chiesa cattolica e la riprova la si è avuta con la noncuranza nei casi dei bambini lasciati morire di fame e di sete in Inghilterra.
Indubbiamente per l’attuale Chiesa è più importante la salute del Creato che la difesa delle creature malate, ma sappiamo che Dio vede e ascolta il pianto delle vittime, come ascoltò il sangue di Abele che gridava a Lui dal suolo. (Gn 4,10)
Paola de Lillo