Il “corvo” è stato condannato a una pena “mite” di un anno e sei mesi e sarà graziato, però si continua a indagare sui suoi possibili complici. Quindi Vatileaks non finisce oggi: troppe zone d’ombra restano in una vicenda che svela una Curia in profonda crisi di governance, indebolita da guerre di opposte cordate per il controllo del potere. Maggiorenti curiali si oppongono ancora ad un Pontefice che sta portando avanti un’intransigente linea di purificazione ai danni di un’inveterata omertà di settori della gerarchia ecclesiastica coinvolti negli scandali finanziari.
Nel frattempo nel “tritacarne” di Vatileaks finiscono come confidenti del maggiordomo esponenti della Curia quali il vicario papale Angelo Comastri che in realtà nulla hanno a che vedere con la vicenda. “Sono stato pesantemente tirato in mezzo senza avere nulla a che fare con questi fatti”, si è lamentato il cardinale Comastri a margine della festa di vernerdì della Gendarmeria. E nella stessa occasione Salvatore De Giorgi, uno dei tre porporati che hanno redato per il Pontefice la relazione sulal fuga di documenti, si è rammaricato per il clima sensazionalistico sollevato attorno all’accertamento della verità.
Oggi a sentenza appena pronunciata, il portavoce vaticano, padre Federico Lombardi ha dichiarato che: «La possibilità della grazia è molto concreta e molto verosimile». Intanti l’ex maggiordomo Paolo Gabriele, condannato oggi a un anno e sei mesi di reclusione per il furto di documenti riservati ed è tornato agli arresti domiciliari. «Il Papa pensa alla grazia- afferma padre Lombardi-. Adesso che ci sono anche gli atti del processo completato ci sono anche più elementi in base ai quali il Pontefice potrà valutare la sua decisione. L’eventualità della grazia è molto concreta e verosimile, anche se non possono dire tempi e modi».
Il portavoce vaticano ha anche spiegato che «il Papa può concedere la grazia di sua iniziativa, anche se non c’è richiesta dell’imputato né una sua domanda formale». Il maggiordomo infedele del Papa è stato condannato a tre anni di reclusione ma la pena è stata «diminuita» a un anno e sei mesi per via delle attenuanti riconosciute.
La sentenza è stata letta dal presidente del Tribunale, Giuseppe Dalla Torre, alle 12,20 cioè dopo poco più di due ore trascorse dai giudici in camera di consiglio. Visti gli articoli 402, 403 numero 1, 404 primo comma numero 1 – ha detto il presidente del tribunale vaticano, Giuseppe Dalla Torre, leggendo il dispositivo della sentenza – dichiara l’imputato colpevole del delitto previsto dall’art 404 primo comma numero 1 del codice penale per avere operato con abuso della fiducia derivante dalla funzione da lui svolta alla sottrazione delle cose che erano lasciate o deposte alla fede dello stesso.
Lo condanna pertanto alla pena di anni tre di reclusione. In considerazione dell’assenza di precedenti penali, delle risultanze dello stato di servizio in epoca antecedente ai fatti contestati, e del convincimento soggettivo, sia pur erroneo, del movente della sua condotta, nonché della dichiarazione circa la sopravvenuta consapevolezza di aver tradito il Papa, diminuisce la pena a un anno e sei mesi di reclusione. Condanna il medesimo al rifacimento delle spese processuali».
Il pm vaticano, il “promotore di giustizia” Nicola Picardi, ha disposto per l’ex aiutante di camera gli arresti domiciliari. Da oggi la difesa di Gabriele ha tre giorni di tempo per decidere se fare richiesta di appello, e eventualmente altri giorni per presentare le motivazioni. Solo dopo, dunque, la magistratura vaticana deciderà come far scontare la pena all’ex assistente di camera del Pontefice, se in un carcere italiano o se scatta una sospensiva a causa delle attenuanti.
Padre Lombardi, ha ribadito durante un briefing seguito alla lettura della sentenza di condanna dell’ex-maggiordomo papale la «piena e totale indipendenza della magistratura vaticana rispetto alle altre autorità dello Stato Città del Vaticano e il grandissimo rispetto mostrato dalle autorità della Segreteria di Stato che non hanno fatto alcun tipo di intervento o pressione che potessero condizionare andamento processo».
La sentenza, ha aggiunto, può essere considerata «mite, segno di umanità e di attenzione alle persone, applicando questa legge di Paolo VI che prevede possibilità riduzione di pena».
Paolo Gabriele è rimasto impassibile, senza esternare alcun sentimento, alla lettura della sentenza che lo ha condannato a 18 mesi di reclusione per il ”furto” delle carte segrete del pontefice. L’unica reazione alla pronuncia della parola ”colpevole” da parte del presidente del tribunale vaticano, Giuseppe Dalla Torre, è stato un impercettibile
«In nome di Sua Santità Benedetto XVI gloriosamente regnante, il Tribunale invocata la Santissima Trinità ha pronunciato la seguente sentenza». Inizia così la sentenza di condanna di Paolo Gabriele.««Voglio solo riabbracciare mio marito». Poche parole da Manuela Citti, la moglie di Paolo Gabriele, a pochi minuti dalla sentenza. La moglie dell’ex maggiordomo fa sapere che desidera soltanto «stare accanto» al marito e non nasconde la «tensione» legata al momento. Per Gabriele la pubblica accusa aveva chiesto tre anni.
La lettura dell sentenza in aula (documento CTV – News.va)
Fonte: Vatican Insider