Tra chi ha votato la fiducia al governo sulle unioni civili c’è chi si appunta una medaglia sul petto per aver bloccato una «rivoluzione contro natura», chi si vanta di aver dato voce al popolo del Circo Massimo e chi grida vittoria perché le adozioni saranno introdotte per via giudiziaria e non per via parlamentare. Se credete che per fare tutto questo ci voglia una bella faccia tosta, è evidente che non avete letto le ultime dichiarazioni in cui Alfano cita in sua difesa San Giovanni Paolo II – nientemeno!
Ai giacobini di tutti i partiti che citano a ogni piè sospinto l’«ama e fa’ ciò che vuoi» di Sant’Agostino ci eravamo ormai rassegnati. Angelino, però, punta in alto e non si accontenta della frasetta copiata da Wikiquote: entra direttamente in modalità «teologia morale».
«Vedo cattolici che giudicano il cattolicesimo degli altri, secondo il loro personale metro di Verità e ortodossia» scrive piccato Angelino. «Io, che non amo giudicare, mi ispiro a quanto ci ha insegnato San Giovanni Paolo II nell’enciclica Evangelium vitae del 1995, al numero 73».
Ci dà pure il luogo della citazione: filologicamente ineccepibile! Ci andiamo a leggere l’enciclica e scopriamo, innanzitutto, che qui il Papa parla dell’aborto – cosa che Alfano non ci aveva detto, ma non è questo il punto. Il Santo Pontefice analizza un preciso caso di coscienza: un voto parlamentare risulta determinante per approvare una legge più restrittiva, in alternativa a una legge più permissiva già in vigore o messa al voto. Il politico cattolico che deve fare?
«Nel caso ipotizzato, quando non fosse possibile scongiurare o abrogare completamente una legge abortista, un parlamentare, la cui personale assoluta opposizione all’aborto fosse chiara e a tutti nota, potrebbe lecitamente offrire il proprio sostegno a proposte mirate a limitare i danni di una tale legge… Così facendo, infatti, non si attua una collaborazione illecita a una legge ingiusta; piuttosto si compie un legittimo e doveroso tentativo di limitarne gli aspetti iniqui».
Strabuzziamo gli occhi e ci domandiamo che caspita c’entri questo con il caso di Alfano. Assolutamente nulla: Angelino non si trovava di fronte a due alternative, di cui una cattiva e l’altra peggiore.
Alfano aveva davanti a sé un’alternativa cattiva (dare la fiducia) e una buona (non darla): poteva bloccare il ddl Cirinnà, facendo mancare la maggioranza al governo. Non l’ha fatto? Noi prendiamo atto che per Alfano la poltrona vale più del diritto naturale, ma lui non cerchi di tirare San Giovanni Paolo II per il rocchetto.
Qualora il passo citato non fosse sufficientemente chiaro, vengono in nostro soccorso le famose Considerazioni circa i progetti di riconoscimento legale delle unioni tra persone omosessuali, pubblicate nel 2003 dal prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede (tale Joseph Ratzinger), ovviamente con l’approvazione di Papa Giovanni Paolo II.
Questo stesso documento applica il principio citato da Alfano alle unioni civili, chiarendolo per eventuali politici poco acuti: «Ciò non significa che in questa materia una legge più restrittiva possa essere considerata come una legge giusta o almeno accettabile; bensì si tratta piuttosto del tentativo legittimo e doveroso di procedere all’abrogazione almeno parziale di una legge ingiusta quando l’abrogazione totale non è possibile per il momento».
Avrebbero dovuto precisare: «tra i motivi legittimi di impossibilità non si contempla l’amore irresistibile per la propria poltrona di ministro».
Perché l’obbligo di fedeltà non c’è per le coppie unite civilmente; tra il ministro e la sua poltrona, invece, sì.
Fonte: Campari & De Maistre