Ce la stanno facendo. Passando per vie secondarie, ma ce la stanno facendo. A fare cosa? A snaturare l’istituto familiare, sia sotto il profilo giuridico, sia per quanto riguarda la svalutazione dell’incommensurabile valore che esso ha sotto il profilo sociale, educativo ed economico. In Italia per far passare i concetti basta attivare i mass media e il canale giudiziario. La politica è oramai relegata ad un ruolo gregario, di mera ratifica della (presunta, molto spesso) vox populi.
Su queste colonne si è già parlato dell’azione dichiaratamente pro Lgbt di La Repubblica e del Corriere della Sera, così come di altri giornali di minor tiratura. Ormai sono i quotidiani a veicolare la cultura, con buona pace dei fieri intellettuali di un tempo e di tutti coloro che non ritengono giusto il doversi adattare al pensiero unico dominante.
Ma veniamo all’ultimo evento di cronaca, questa volta legato alla giurisprudenza. Questi i fatti. Nel 2009 una coppia emiliana, dopo tre anni di matrimonio, comunica la “rettifica” del sesso del marito e vede di conseguenza sciolta la propria unione matrimoniale. Scrive il Corriere: “Le due donne hanno presentato ricorso al tribunale di Modena chiedendo la correzione dell’atto. Il ministero dell’Interno ha presentato reclamo, e i giudici ha rigettato la domanda. In secondo grado la Corte d’Appello di Bologna nel maggio del 2011 ha ritenuto che procedere alla correzione richiesta «significa mantenere in vita un rapporto privo del suo indispensabile presupposto di legittimità, la diversità sessuale dei coniugi».
E contro questo sentenza le due si sono rivolte alla Cassazione sollevando diverse questioni di legittimità. È stato introdotto – è la sintesi della Suprema Corte – un «divorzio imposto ex lege, che non richiede una pronuncia giudiziale ad hoc, salva la necessità della tutela giurisdizionale ad hoc limitatamente alle decisioni relative ai figli minori».
E «tale soluzione obbligata pone l’interrogativo della sua compatibilità con il sistema costituzionale» e con «l’autodeterminazione nelle scelte relative all’identità personale», del diritto dell’altro coniuge di scegliere se proseguire la relazione. Quindi il quesito che la Cassazione rivolge alla Consulta è di valutare «l’adeguatezza del sacrificio imposto all’esercizio di tali diritti dall’imperatività dello scioglimento del vincolo per entrambi i coniugi»”.
I giudici della Cassazione hanno affermato: «Pur essendo l’ordinamento italiano tuttora caratterizzato dall’assenza di norme che attribuiscano il riconoscimento alle coppie di fatto formate da persone dello stesso sesso il rilievo costituzionale di tali unioni è stato sancito dalla Consulta», tuttavia «la scelta di estendere il modello matrimoniale anche ad unioni diverse da quella eterosessuale è rimessa al legislatore ordinario. Non esiste un vincolo costituzionale».
È inutile far finta di non vedere: le unioni omosessuali saranno presto possibili anche in Italia. L’Arcigay esulta: «Ora si estenda il matrimonio alle coppie gay». Il copione è quello a cui siamo ormai abituati: da una sentenza, dal caso “pietoso” si arriva alla legge. Viva la democrazia, viene quasi da dire.
Antonio Righi
articolo pubblicato su Libertà e Persona