“Ai Liberi e Forti” – Le profezie sull’attuale società di Don Sturzo

E’ impossibile, paradossale, sembra quasi uno scherzo. Eppure sono trascorsi già 95 anni da quando, il 18 gennaio 1919, all’albergo Santa Chiara di Roma don Luigi Sturzo, lanciando il celebre “Appello ai Liberi e Forti”, istituì il Partito Popolare Italiano. Da non credere, alla luce della sorprendente attualità del programma di quel partito, che esordiva – manco a farlo apposta – con la difesa della famiglia: «Integrità della famiglia. Difesa di essa contro tutte le forme di dissoluzione e di corrompimento. Tutela della moralità pubblica, assistenza e protezione dell’infanzia, ricerca della paternità».

Parole che, a dirle oggi, passi almeno come omofobo.

E’ come se don Sturzo e i suoi – agli albori del Ventennio, prima della Seconda Guerra Mondiale, della Costituzione e tutto il resto – avessero visto il futuro. Se poi dal programma del Partito Popolare Italiano si passa ad un’analisi del pensiero del sacerdote che ne fu tra i fondatori, questa attualità diventa ancora più impressionante: don Sturzo era quello che da un lato difendeva «il rispetto della famiglia, la santità del focolare domestico, la continenza dei costumi» [1], e dall’altro – nel medesimo periodo in cui il III Congresso internazionale comunista, nel 1922, riteneva la cosa poco interessante [2] – auspicava il suffragio femminile arrivando a criticare apertamente quanti pensavano che questo potesse «danneggiare la compagine della famiglia» [3].

 

Ancora. Don Sturzo era quello – dicevamo – che assegnava assoluta priorità alla famiglia fondata sul matrimonio dal momento che la riteneva un imprescindibile architrave capace di rigenerarsi e orientarsi naturalmente, senza che lo Stato sia tenuto a fare altro se non a riconoscerne l’esistenza: «La famiglia è essa stessa che esige e crea le sue leggi» [4]. Non solo: seppe persino prevedere, con svariati decenni di anticipo, a quali conseguente destabilizzanti per l’intera società avrebbe condotto la crisi della stabilità familiare: «Il moto degenerativo della società va ampliandosi man mano che la famiglia diventa instabile […] che i coniugi possono facilmente dissolversi» [5].

 

Come se non bastasse, Sturzo – con l’acume tipico del pensatore e la precisione del sociologo – seppe anche correlare le derive edonistiche dell’istituto familiare con la diffusione di fenomeni quali l’aborto e la diffusione della contraccezione: «Il rifiuto di portare i pesi familiari e sociali crea sistemi inumani, quali l’esposizione dei neonati, l’uccisione dei bambini, l’aborto e il controllo delle nascite» [6]. Ma come fu possibile tanta profezia, tanta capacità di immaginare il futuro e le sue criticità? Cosa portava in quel lontano 1919 i “Liberi e Forti” ad impegnarsi per l’«integrità della famiglia» e per la «difesa di essa contro tutte le forme di dissoluzione e di corrompimento»?

Principalmente fu una precisa prospettiva antropologica. E cioè quella che pone al centro l’essere umano in quanto persona e riferimento primario di tutto, «termine dei beni e dei vantaggi che crea le leggi che regolano il potere» [7].

 

Si può difendere la famiglia e pensare la politica in modo giusto, quindi, solo nella misura in cui – per dirla ancora con Sturzo – si comprende che la personalità dell’uomo «in quanto razionale» è da ritenersi «non solo soggetto di diritto ma sorgente del diritto: non è la società o lo stato come alcuni pensano, la sorgente del diritto» [8]. C’è buona politica, dunque, quando c’è sana antropologia.

E c’è sana antropologia solo nella misura in cui si comprende che, per essere davvero Liberi e Forti, occorre ricordarsi dei Bisognosi e dei Deboli.

In questo senso la vera attualità del richiamo ai “Liberi e Forti” sta nella sua capacità di immaginare la politica non tanto come luogo dove si scende o piattaforma dove si sale, bensì come occasione di servizio e di tutela di quei valori “non negoziabili” che Sturzo – pur non chiamandoli così – aveva evidentemente a cuore, valori che fondano l’agire del politico e che consentono una visione ordinata delle priorità governative, dello stato sociale, dell’economia, dei diritti civili. Tutto sta nell’avere il coraggio di sentirsi davvero Liberi e Forti e di non indietreggiare di fronte alle difficoltà, alle critiche, alle derisioni.

Perché ogni cedimento del fronte dei Liberi e Forti non segna un progresso, bensì un regresso; non una crescita, ma un pericoloso ridimensionamento dei valori e, in definitiva, della stessa politica.

 

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Note: [1] Sturzo L. Il Partito Popolare Italiano, I, Zanichelli, Bologna 1956, p. 352; [2] Cfr. Il marxismo e la donna, Edizioni Il Formichiere, Milano 1977, p. 172; [3] Sturzo L. Attorno al suffragio delle donne, «Corriere d’Italia»,14.X.1917; [4] Sturzo L. La vera vita. Sociologia del soprannaturale, Rubbettino, Soveria Mannelli 2005, p 55; [5] Ibidem, p. 61; [6] Ibidem p. 153; [7] Sturzo L. Coscienza e politica (1953), Zanichelli, Bologna 1972, p. 346; [8] Sturzo L. La società: sua e leggi, Rubbettino, Soveria Mannelli 2005, p. 203.

 

Fonte: il blog di Giuliano Guzzo