Sembra una notizia di nessun conto, ma a non essere superficiali c’è da meditare. Ieri mattina a Milano, tra le 10,30 e le 11,00, si è sentito un continuo passaggio di aerei che volavano a bassa quota. I media dicono che in molti hanno telefonato all’Aereonautica militare per conoscerne il motivo e anche chi scrive ha avuto la tentazione di chiamare il 112, perché quei rombi erano inquietanti. Che a girare fossero solo tre velivoli si è saputo dopo, ma al momento sembrava un attacco aereo.
A parte le considerazioni sull’opportunità di sorvolare il centro di una città e sul fatto che la popolazione non ne fosse stata informata, in quei seppur pochi minuti si è capito come debbano vivere quelle popolazioni che sono state bombardate per anni dal cielo e che hanno dovuto subire, inermi, la distruzione di interi quartieri che adesso sono irriconoscibili e abbandonati.
Noi europei, nati dopo la seconda guerra mondiale, ci siamo abituati a questionare su quelle che, a fronte di una guerra, sono inezie, anzi, come diceva Totò, sono “quisquilie e pinzillacchere”, non rendendoci conto del dono della pace e di come potremmo usarne tutti i vantaggi per il bene comune.
Ricordo bene quanto ottimismo e allegria si ritrovava tra i cittadini italiani negli anni cinquanta e sessanta: bastava entrare in un qualsiasi negozio, al Sud come al Nord, per sentire battute di spirito in vernacolo e coinvolgenti risate, così come i calorosi e festanti auguri in occasione delle ricorrenze più importanti.
Poi a qualcuno è venuto il prurito di contestare tutto, così che la famiglia, le tradizioni e la stessa religione sono diventati ingombri da eliminare e nemici da combattere. E così ora ci ritroviamo accomunati dalla stessa inconsapevole paura, quella cioè che ci tolgano quella pace di cui non abbiamo saputo far buon uso e che non abbiamo saputo sfruttare per crescere in civiltà e progresso.
Che Dio ci perdoni e ci preservi dal dover ricominciare tutto da capo.
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Paola de Lillo