Unioni civili sempre in primo piano in Italia dopo il no dei Cinque Stelle al cosiddetto emendamento Canguro che ha portato ad un rinvio della discussione in Senato al prossimo mercoledì. “L’evidenza è che gli italiani sono contrari alla stepchild adoption” – commenta il Forum delle Famiglie – mentre il Comitato del Family Day rivendica il successo della piazza del 30 gennaio “nonostante gli inesistenti mezzi e la contrarietà di gran parte dei media”.
“Inesatta e frettolosa, nei giorni scorsi, la notizia del “sì” unanime della scienza sulle adozioni gay”, spiega a Paolo Ondarza il neuropsichiatra infantile Giovanni Battista Camerini, docente di master presso le Università di Padova e Sapienza di Roma:
R. – Le prime ricerche sono state fatte dalla prof.ssa Charlotte Patterson in America, una psicologa lesbica, attivista, appartenente all’American Psychological Association, che ha pubblicato alcune ricerche su figli nati da coppie omo-genitoriali, soprattutto donne.
Le ricerche sono state fatte attraverso questionari, compilati dai genitori di questi bambini che erano stati adottati da poco tempo. Le conclusioni di queste ricerche davano risultati incoraggianti, nel senso che non davano nessun segnale di disagio nei bambini adottati da coppie omogenitoriali.
Queste ricerche poi sono state fortemente criticate; la stessa autrice ha dovuto ammettere alcuni vizi metodologici, perché era una campionatura raccolta non correttamente: nel senso che le famiglie che avevano compilato questi questionari potevano avere dato certe risposte per fornire un’immagine positiva. E inoltre mancava il gruppo di controllo.
D. – Cosa si intende per “gruppo di controllo”?
R. – Il “gruppo di controllo” significa confrontare una popolazione studiata con un’altra popolazione che non ha invece le stesse caratteristiche. Nella fattispecie, confrontare bambini nati in famiglie di coppie omo-genitoriali con bambini nati invece da coppie eterosessuali.
D. – E questa ricerca della prof.ssa Patterson che lei cita è quella che viene portata come esempio oggi da chi sostiene che non ci sono problemi per un bambino a crescere in una coppia omo-genitoriale?
R. – È essenzialmente questa. Devo dire che, successivamente, è stata fatta un’altra ricerca da un ricercatore dell’Università del Texas, Mark Regnerus, il quale ha preso in esame ragazzi già cresciuti in famiglie omo-genitoriali: cioè di età superiore. Una ricerca fatta metodologicamente su basi diverse, quindi con ragazzi più grandi e con il gruppo di controllo. I risultati in questo caso erano radicalmente diversi: c’era un tasso di comportamenti autolesivi molto superiore, un’incidenza di problematiche psichiatriche, anche gravi, nettamente superiori rispetto al gruppo di controllo.
D. – Va detto, per completezza di informazioni, che anche questo studio che lei cita, firmato da Regnerus, è contestato da chi sostiene la bontà dell’adozione per le coppie omosessuali…
R. – È stato contestato duramente dalla lobby gay americana, che ha chiesto addirittura il licenziamento di questo studioso. Al punto che il “New York Times” ha pensato di incaricare un gruppo di esperti metodologi, un gruppo di saggi, per valutare se questa ricerca fosse stata fatta correttamente dal punto di vista metodologico. Il gruppo di saggi ha concluso che questa ricerca è stata fatta in maniera metodologicamente assolutamente appropriata.
D. – I due studi che lei cita rappresentano un po’ quella che è la complessità della ricerca attorno a questi temi: quindi si può concludere che non c’è una parola definitiva al riguardo?
R. – Non c’è assolutamente. Quello che io dico non è per dire che abbia ragione l’uno o l’altro. Dico solo che la comunità scientifica non ha portato alcun dato certo a favore della beneficità di questa pratica; nessun dato certo nemmeno a favore della sua dannosità. Dico solo che non si può assolutamente affermare che la comunità scientifica sia concorde sul fatto che i figli, nati da adozioni omo-genitoriali, abbiano uno sviluppo assolutamente adeguato, e che gli indicatori di benessere siano assolutamente sovrapponibili ad altri tipi di adozione.
Occorre dire anche un’altra cosa: ci sono alcuni elementi che non sono facilmente misurabili attraverso questionari. Per esempio, c’è da chiedersi – e questo è il grande punto interrogativo – quali possono essere le conseguenze di una desessualizzazione della funzione paterna: una funzione paterna che viene esercitata indipendentemente dall’appartenenza ad un genere definito e riconoscibile; e quali sono gli effetti che questa desessualizzazione della funzione paterna può avere sui processi di identificazione e sul sentimento di identità. Questi sono aspetti legati alla psicologia del profondo, difficilmente misurabili attraverso questionari, sui quali occorre porsi legittimamente degli interrogativi.
D. – Quando, secondo lei – e se mai sarà possibile – la scienza riuscirà a dare delle risposte?
R. – Ci vorrebbero intanto grandi numeri, lavori su ampia scala con gruppi di controllo, e soggetti seguiti soprattutto per anni, perché gli effetti di determinati percorsi di sviluppo si vedono nella tarda adolescenza, nella prima età adulta. È difficile registrarli in bambini che sono stati adottati soltanto da poco tempo. Sono effetti che si possono vedere a distanza di tempo.
Fonte: Radio Vaticana