Sarà che non ha tutti i crismi dell’ufficialità e sarà che si tratta solo di un lancio d’agenzia (per ora). Ma sta di fatto che, se la notizia fosse confermata, sarebbe una bomba. La settimana scorsa, infatti, prima l’Ansa e poi la Reuters hanno scritto che «la Cgil si schiera in difesa dei medici non obiettori sull’aborto e a tutela del diritto delle italiane all’interruzione di gravidanza, con un reclamo al Comitato europeo dei diritti sociali del Consiglio d’Europa».
Le stesse agenzie rivelano che «la notizia, coperta dal massimo riserbo», rimbalza «col contagocce» da Strasburgo, «ma quello che emerge con chiarezza è che il sindacato guidato da Susanna Camusso richiama l’attenzione da un lato sui diritti dei medici non obiettori, che sarebbero discriminati in termini di prospettive di carriera e retribuzione, e dall’altro sulla legge 194 che – proprio a causa dell’alto numero di medici obiettori – non garantirebbe il previsto diritto per le donne all’aborto».
Quindi non ci sarebbe nulla di ancora apertamente trasparente perché, ha scritto l’Ansa, «il testo del reclamo non è stato ancora ufficialmente comunicato al governo italiano. Intanto però fonti qualificate spiegano come nel documento la Cgil sostenga, con tanto di documentazione, come vi siano disparità di carriera e salariali tra medici obiettori e non, in favore dei primi. E secondo gli avvocati del sindacato, sarebbero stati violati gli articoli 1, 2, 3 e 26 della Carta sociale europea. Articoli che obbligano gli Stati a rispettare il diritto al lavoro, ed in particolare quello ad eque condizioni, alla sicurezza e all’igiene, e alla dignità sul posto di lavoro».
Nel reclamo la Cgil si esprime anche «sulla legge 194, evidenziandone le caratteristiche che violerebbero l’articolo 11 della Carta che sancisce il diritto alla protezione della salute. Le legge per come è formulata – si sottolinea – non assicura alle donne di poter avere accesso all’interruzione di gravidanza anche a causa dell’alto numero di medici obiettori». Questa parte del reclamo, evidenzia l’Ansa, in qualche modo ricalca «la tesi sostenuta dal ricorso presentato dall’International Planned Parenthood Federation (Ippf-En) al Comitato europeo per i diritti sociali del Consiglio d’Europa, e dichiarato ricevibile dallo stesso comitato il 7 novembre scorso. In quella decisione il comitato aveva comunicato che il reclamo del Ippf-En, vista la gravità delle accuse mosse alle autorità italiane, è da considerarsi prioritario, e che quindi i tempi per la decisione sul merito sono più brevi».
Fonte: Tempi.it