Scosse continue di terremoto (ormai centinaia dallo scorso agosto), temperature polari e nevicate storiche. E ora anche la slavina, tragica combinazione di terremoto e neve, che ha distrutto l’Hotel Rigopiano, alle pendici del Gran Sasso, inghiottendo una trentina di persone che da ore aspettavano dei mezzi per portarli in salvo, bloccati anche loro da una neve senza precedenti.
Un destino crudele, si direbbe, che si accanisce su queste popolazioni e che lascia un senso di impotenza. Impotenza che si fa preghiera: per i morti, per i feriti, per i sopravvissuti all’ultima tragedia, per gli sfollati, per quelli che sono rimasti in questi paesi e vivono quotidianamente la paura che solo chi ha sentito un forte terremoto può comprendere; per quanti da mesi e, soprattutto in queste ultime ore, si stanno prodigando per soccorrere le vittime, per migliorare le loro condizioni, in circostanze a volte veramente problematiche.
Solo la preghiera, affidare tutti costoro alla divina Misericordia, la certezza di una compagnia buona al fianco di chi soffre, dà un senso al dolore di questi giorni.
C’è chi, anche in questa occasione, non resiste alla tentazione di fare polemica, di additare dei responsabili, per portare acqua al mulino del proprio partito o della propria posizione. E pensare che mai, come in questa occasione, ci sarebbe molto da riflettere sulla Natura e sul rapporto dell’uomo con l’ambiente che lo circonda.
Perché stavolta parlare di colpe e responsabilità è davvero impossibile. Siamo davanti a fatti senza precedenti, alla coincidenza di terremoti e nevicate che non hanno precedenti, e che sono fuori dalla possibilità di controllo da parte degli uomini.
Invece viviamo in tempi dove il delirio di onnipotenza dell’uomo occidentale – dimentico della civiltà cristiana che l’ha generato – è arrivato a pretendere di poter controllare la natura, di poterla regolare, di poter decidere il freddo e il caldo.
Nel tragico combinarsi di due eventi imprevedibili e incontrollabili – il terremoto e una cascata di neve – troviamo la risposta della natura, una forza enorme capace di spazzare via l’uomo e le sue costruzioni in qualsiasi istante.
Nella storia gli uomini hanno via via sviluppato sempre nuove conoscenze e nuove forme per difendersi dalla forza devastante della natura.
E soprattutto, nel mondo cristiano, hanno imparato a rivolgersi al Signore della natura, all’Unico che può calmare la tempesta e comandare ai venti.
Solo oggi vediamo dominante una cultura che pretende di avere in mano le chiavi della natura, nel bene e nel male, e questa cultura ha contagiato anche i cristiani.
In altri tempi, davanti a eventi come quelli cui stiamo assistendo nell’Italia centrale, avremmo visto vescovi e preti organizzare pellegrinaggi, preghiere comunitarie, adorazioni, digiuni per chiedere al Signore di placare le forze della natura.
Tanti santuari, anche nella nostra Italia, sono collegati a eventi di questo genere, alle grazie ricevute dal Signore che ha riportato la pace e la prosperità.
Oggi tutto questo sembra dimenticato, si preferisce pensare che sia più efficace la raccolta differenziata, o l’uso dei mezzi pubblici.
Sembra che a nessuno venga più in mente di rivolgersi al Signore, a Colui che, per la fede del suo popolo, può decidere di salvarlo. Ma si può pretendere di ottenere se neanche si chiede?
Fonte: La NBQ