A Enrico Letta l’incarico di formare il nuovo Governo

Il presidente della Repubblica italiana, Giorgio Napolitano, ha affidato mercoledì mattina al vicesegretario del Partito democratico (Pd), Enrico Letta, l’incarico di formare il nuovo Governo. Uscendo dall’incontro avuto al Quirinale, Letta, che come da prassi ha accettato l’incarico con riserva, ha annunciato che comincerà giovedì le consultazioni con le forze politiche, alle quali proporrà un Governo «di servizio al Paese». L’Esecutivo — ha aggiunto — «non nascerà a tutti i costi ma solo se ci saranno le condizioni»; si tratta infatti di un tentativo «complesso» e «difficile».

 

Nel programma, secondo Letta, oltre agli interventi per fronteggiare un’emergenza che per gli italiani «è ormai insopportabile», dovranno figurare «le riforme costituzionali necessarie a ridurre il numero dei parlamentari» e la legge elettorale, la quale «ha bloccato la situazione a tal punto che, anche se si rivotasse immediatamente, la situazione non cambierebbe».

Il capo dello Stato ha espresso fiducia nel tentativo di Letta. Napolitano ha sottolineato come la «larga convergenza» fra le forze politiche sia «la sola prospettiva possibile» e ha dunque auspicato la «massima collaborazione» e il «rispetto» reciproco fra i partiti. La scelta di un alto dirigente del Pd conferma la volontà, espressa con fermezza dal capo dello Stato, di dare vita a un Esecutivo “politico”, nel quale cioè il grado di impegno dei partiti sia rilevante.

Di fronte alla necessità di interventi incisivi per contrastare la crisi economica e occupazionale, tenendo al contempo fermo l’equilibrio dei conti pubblici, si ritiene indispensabile cioè che chi si assume la responsabilità di governare il Paese lo faccia senza la tentazione di farsi indietro, spinto dal timore di deludere il proprio elettorato. Non a caso il segretario del Popolo della libertà (Pdl), Angelino Alfano, mercoledì mattina, poco prima che si diffondesse la notizia dell’incarico a Letta, aveva avvertito di non essere disponibile a un Governo “balneare”; creato per superare l’estate ma con vita breve, in attesa di nuove elezioni.

 

Dopo la scelta del potenziale presidente del Consiglio, il nodo da sciogliere è perciò quello dei ministri. Come accennato, il Pdl chiede che il Pd si assuma in pieno la responsabilità del Governo, anche al di là di Letta, attraverso la scelta di nomi che ne rappresentino tutte le correnti.

Il partito di Berlusconi infatti può sempre contare sull’arma delle elezioni, forte dei sondaggi che, a causa anche delle vicende post-elettorali del Pd, lo descriverebbero in netto vantaggio. Anche per questo, nelle ultime ore, diversi esponenti del Pdl hanno precisato che l’azione del Governo non può prescindere da alcuni punti cari all’elettorato di centrodestra, vale a dire l’abolizione dell’Imu, la riduzione delle tasse, la defiscalizzazione delle nuove assunzioni.

 

Provvedimenti che dovranno essere armonizzati con la necessità di tenere conto di una crisi economica che, nelle previsioni degli esperti, non allenterà la morsa a breve termine. Né queste difficoltà, per il Pdl, possono essere superate con un Esecutivo tecnico; un’esperienza già fatta e che Berlusconi e i suoi ritengono esaurita.

Nel Pd, ancora alle prese con un complicato redde rationem, le preoccupazioni sono diverse e per molti versi all’opposto. Ha provato in qualche modo a farle uscire allo scoperto lo stesso Alfano, quando ha avvertito che il Pdl non sarà disposto ad assistere passivamente al ripetersi di un altro “caso Marini”. Il timore è appunto che anche sul nome di Enrico Letta si giochino i veti delle diverse correnti del Pd, finendo con il coinvolgere anche il Pdl in una nuova situazione di caos istituzionale.

 

La riunione della direzione del Pd — nella quale si sono poste come condizioni per la partecipazione al nuovo Governo l’impegno per il lavoro e le riforme istituzionali — non è stata sufficiente a ricompattare le fila di un partito sprofondato in una crisi difficile da prevedere nelle sue dimensioni.

Pier Luigi Bersani, che ha formalizzato le sue già annunciate dimissioni da segretario, aveva condotto una campagna elettorale sobria e realista, adatta a una forza politica che si accingeva a prendere in mano il Governo del Paese. Per rispondere alla voglia di partecipazione degli elettori, dimostrata dalle primarie, aveva anche sostenuto la scelta dal basso di una parte consistente di candidature parlamentari: si è pensato così di rispondere alla sfida del Movimento 5 Stelle, togliendogli l’esclusività delle istanze di cambiamento.

 

Un cambiamento che però, invece di essere guidato, è stato subìto. Dentro la confezione non si è visto il contenuto. E alle spalle di Bersani c’era un partito che lo stesso segretario non ha più saputo interpretare. Da qui le vicende che hanno condotto alla rielezione di Giorgio Napolitano, votato dal Parlamento a larga maggioranza, con 738 voti.

E da qui le incognite che ancora pesano sulla formazione e sul destino del nuovo Governo che Enrico Letta ha accettato di provare a formare. Un Governo che, al di là delle dichiarazioni di buona volontà dei partiti, sferzati con severità dal capo dello Stato nel suo discorso di insediamento, dipende pur sempre dai numeri in Parlamento.

Ed è evidente che, di fronte a un Pd che non recuperasse al più presto una voce sola, il Governo sarebbe debole e con prospettive troppo a termine. Non è un buon viatico per un Esecutivo che non può limitarsi a gestire la sola emergenza.

 

Nell’importante intervento a Montecitorio, il presidente Napolitano, non ha soltanto condannato la gestione dell’impasse istituzionale di questi ultimi due mesi ma ha bollato senza mezzi termini l’«incapacità», la «sterilità», la «sordità» e l’«irresponsabilità» manifestate dalle forze politiche nei sette anni del suo primo mandato presidenziale, a partire dalle mancate riforme istituzionali; fra queste, soprattutto, la riforma elettorale.

Marco Bellizzi

 

articolo pubblicato su L’Osservatore Romano