Niente può essere equiparato alla famiglia. Così in sintesi il cardinale Angelo Bagnasco, presidente della Conferenza episcopale italiana, al Consiglio permanente della Cei, che si è aperto nel pomeriggio a Roma. La domanda innata di ogni bambino ad avere un padre e una madre e l’inviolabilità della vita umana: i temi forti della sua prolusione che tocca anche la politica. Partecipare al voto, ha detto, è un “dovere irrevocabile”. Ma, sottolinea il presidente della Cei, al centro del suo discorso c’è Gesù Cristo.
“No, non finiremo mai di parlare di Gesù”. E se anche nell’opinione pubblica riecheggeranno “solo alcune nostre parole”, e non precisamente queste forse perché ritenute “scontate”, “non è vero che a noi interessa far politica, noi vogliamo dire Gesù”.
E’ chiaro il punto di partenza della prolusione del cardinale Bagnasco: annunciare che “l’Infinito fatto bambino, è entrato nella nostra umanità”.
Centrale nel suo discorso la questione dei valori non negoziabili: la vita dal suo concepimento alla morte naturale e dunque “la rinuncia all’eutanasia comunque si presenti, la libertà di coscienza e di educazione, la famiglia basata sul vincolo del matrimonio fra l’uomo e la donna, la giustizia uguale per tutti, la pace”.
“E’ necessario che in un momento elettorale si certifichi dove essi trovano dimora”, afferma il porporato sottolineando che “su questi principi i cattolici sanno che non esiste compromesso o mediazione” perché “ne va dell’umano nella sua radice”.
“La madre di tutte le crisi è l’individualismo”, figlio di una cultura nichilista, “per cui tutto è moralmente equivalente”, un tarlo che “nel suo congenito utilitarismo” ritiene che non c’è natura precostituita , “è il soggetto a crearsela”, “un moderno delirio di onnipotenza”, da cui deriva anche il calo dei matrimoni e la grave situazione demografica.
Si continua a riproporre “il tema dei matrimoni omosessuali quasi si trattasse di un approdo inevitabile”, ma la famiglia, sottolinea il cardinale Bagnasco, precede lo Stato, “è un istituito dotato di una sua naturalità”, iscritta nel codice fisico della persona. “Il diritto del bambino – non al bambino – viene prima di ogni desiderio individuale”, ribadisce.
La coppia, per fare famiglia, oltre all’amore ha doveri e diritti e alla famiglia nulla può essere equiparato, “né tanto né poco”, né può essere indebolita da ideologie antifamiliari e modelli alternativi:
“se la natura dell’uomo non esiste, allora si può fare tutto, non solo ipotizzare il matrimonio tra persone dello stesso sesso. La recente sentenza della Cassazione sull’adottabilità da parte delle coppie omosessuali, oltre ad essere stata immotivatamente ampliata nella propria valenza, non può certo mutare la domanda innata di ogni bambino: quella di crescere con un papà e una mamma nella ricca armonia delle differenze”.
Lo sguardo del porporato è rivolto alle prossime elezioni. Il cardinale sottolinea come la biopolitica sia ormai “una frontiera immancabile di qualsiasi programma” con i suoi temi cruciali come vita, stati cosiddetti vegetativi, aborto, eutanasia attiva e passiva. “Linee di compromesso, o peggio di baratto tra economia ed etica della vita, a scapito della seconda sarebbero gravi” – ricorda – perché la persona sarebbe ridotta in termini di costi e ricavi.
Vita, famiglia e libertà sono le realtà alla radice del bene comune. E la società deve avere alla base un progetto di bene comune, altrimenti cadrà in balia di pressioni e interessi dove sarà esaudito chi fa la voce più forte.
La vita fragile, sottolinea ancora, chiede “alla comunità e ai suoi apparati istituzionali di non essere abbandonata ma di essere presa a cuore”:
“Ecco perché quando si giunge di fronte alla grande porta dei fondamentali dell’umano, non è possibile il silenzio da parte di alcuno, persone e istituzioni: si è arrivati al “dunque”. Reticenze o scorciatoie non sono possibili: bisogna dire il volto che si vuole dare allo Stato, se è una famiglia di persone o un groviglio di interessi; se un agglomerato di individui o una rete di relazioni su cui ciascuno sa di poter contare, specialmente nelle fasi di maggiore fragilità”
Sempre guardando al prossimo voto in Italia, il cardinale sottolinea che “la diserzione dalle urne è un segnale di cortissimo respiro”. “Non bisogna – dice – cedere alla delusione, tanto meno alla ritorsione: non sarebbe saggio e, soprattutto, sarebbe dannoso per la democrazia. Partecipare è dovere irrevocabile”.
“«La Chiesa non può e non deve prendere nelle sue mani la battaglia politica per realizzare la società più giusta possibile»”, ricorda ancora il porporato citando l’enciclica Deus caritas est di Benedetto XVI, ma “«non può e non deve neanche restare ai margini nella lotta per la giustizia»”. “Per questo – prosegue – a quanti sono in campo osa oggi richiedere parole chiare circa le proprie personali intenzioni, e alle formazioni politiche l’impegno su programmi espliciti, non infarciti di ambiguità lessicali e tattiche”.
Il presidente della Cei afferma, quindi, che “il paese sano è stanco di populismi” comunque vestiti e che “le riforme domani saranno realizzate solo se oggi non si fanno promesse incaute e contraddittorie”.
Gli italiani chiedono che nessuno dei sacrifici compiuti vada perduto. E che a partire da questi si “allestisca l’intelaiatura di una ripresa concreta”. Si chiede anche che la politica “cessi di essere una via indecorosa per l’arricchimento personale”, che “il malcostume della corruzione sia sventato”, che si mettano in riga comportamenti come l’evasione fiscale.
Parlando della crisi, rileva anche che “azioni importanti nell’ultimo periodo sono state fatte per recuperare affidabilità”, “a prezzo anche di pesanti sacrifici non sempre proporzionalmente distribuiti”. La condizione di indigenza si è allargata, sottolinea ancora, e la disoccupazione giovanile “è, per ora, una sorta di epidemia che non trova argini”.
Scongiurato il baratro, c’è quindi da rivoluzionare il modello. Bisognare rilanciare l’occupazione e difendere l’economia sociale, il Terzo settore. “Noi vescovi – dice – vorremmo annunciare oggi, come particolare persuasione il vangelo del lavoro”. Un accenno anche alla sanità “per condannare gli imbrogli” e per chiedere che la politica dei tagli sia guidata dal criterio che al centro vi sia sempre il paziente.
Allargando lo sguardo sul mondo, il cardinale Bagnasco tra i fronti di crisi evidenzia quello della persecuzione ai cristiani, ricordando che gli esperti parlano di “oltre centomila cristiani delle varie confessioni uccisi nel 2012”. “Una cifra spaventosa” che non può lasciare indifferenti.
Tra i luoghi dove i cristiani vengono colpiti ricorda l’Asia, l’Africa e, in particolare, il Nord Africa: dietro i sommovimenti avvenuti di recente , afferma, “emergono inquietanti tentativi di ulteriore discriminazione, e in troppi Paesi ai cristiani non è consentito alcun segno di appartenenza religiosa, salvo mimetizzarsi, nascondersi, dislocarsi”.
Quanti soffrono e muoiono per Cristo, lo fanno anche per noi, sottolinea il cardinale Bagnasco e “la comunione con queste situazioni di martirio” dà “vigore al nostro lavoro pastorale, impegnato oggi nella rievangelizzazione delle terre che hanno da tempo conosciuto il Vangelo”.
Quindi il porporato abbraccia la questione della pastorale, sottolineando che “non abbiamo un prodotto da imporre” ma una Persona che cambia la vita e che “bisogna far sì che il tempo della nuova evangelizzazione coincida con la riscoperta dell’identità cristiana e della sequela personale del Signore”.
Debora Donnini
Fonte: Radio Vaticana