Quando si parla di eroi americani, bisogna stare sempre attenti a prendere con le pinze la veridicità di quello che si racconta, specie se a raccontarlo sono proprio gli americani. Anche nel caso del nuovo film di S. Spielberg, “Lincoln” il sedicesimo presidente degli Stati Confederati del Nord, ci siamo resi conto che non tutto è oro quel che brilla, e che forse bisognerebbe interrogare i fatti più che gli interpreti.
Sorvoliamo l’aspetto puramente cinematografico, un cast d’eccezione (Daniel Day-Lewis nei panni del presidente A. Lincoln, Sally Field, David Strathairn, Joseph Gordon-Levitt, James Spader). La realizzazione, quando c’è di mezzo Spielberg, non bada a spese, ricostruzioni storiche e costumi impeccabili, e la recitazione ovviamente di grande spessore.
Peccato però, che il contenuto raccontato nel film sia oltremodo di parte, estremamente celebrativo, e quando si tenta di mitizzare certe figure si scade spesso nella retorica.
Bisogna sapere infatti che Lincoln, lungi dall’essere quel“liberatore” di schiavi neri, per i quali non esitò a scatenare una guerra fratricida, i “negri” non li sopportava proprio. Possiamo dirlo? E diciamolo! Lincoln era un vero e proprio razzista.
Così parlò il 21 agosto 1858, prima della elezione alla Casa Bianca, prima della Guerra “civile”, nel corso di un dibattito pubblico svoltosi a Ottawa, in Illinois : «Non miro affatto a introdurre l’eguaglianza sociale e politica fra la razza bianca e la razza nera. Fra le due vi è una differenza fisica che, a mio avviso, impedirà per sempre che esse vivano assieme in condizioni di eguaglianza perfetta; e nella misura in cui diviene una necessità […], sono favorevole al ruolo di superiorità che deve svolgere la razza a cui appartengo. Non ho mai detto il contrario».
La guerra “civile”(?) americana infatti, non fu scatenata, come comunemente si crede, per la liberazione degli schiavi neri, bensì per ribaltare l’assetto della Costituzione federale, e stabilire se il Paese dovesse continuare a mantenere l’assetto politico-istituzionale-culturale originario, (dove c’era ancora libertà di espressione e di governo), oppure dar vita ad una rivoluzione in armi, come era avvenuta in Francia, sotto lo stendardo della liberazione degli schiavi, allo scopo di inglobare i ricchi e prosperi Stati confederati del sud.
D’altra parte come poteva essere rappresentato diversamente? Un film che narra le gesta di uno dei primi e più famosi presidenti Americani, che ha posto le basi per la nuova Confederazione degli Stati Uniti d’America, poteva forse mostrare le magagne e il volto razzista del presidente, laddove ora, alla Casa Bianca, si trova proprio un presidente afro-americano? Ovviamente no.
Se si leggessero i suoi scritti, ci si renderebbe conto che Lincoln non aveva intenzione alcuna di abolire la schiavitù, anzi, voleva i neri fuori dagli Usa. Affermò infatti in un’intervista di volerli rimandare in Africa, nel cosiddetto Stato di schiavi liberati, la Liberia appunto.
Non solo. Una volta presidente, Lincoln firmò un contratto con un uomo di affari, tale Bernard Knock, allo scopo di fondare una colonia di “deportati” ad Haiti, ma gli andò male. Il 16 ottobre 1854 aveva detto: «L’intera nazione è interessata a fare di quei territori – riferendosi ai territori sottratti ai sudisti – il miglior uso possibile. Vogliamo che essi siano la casa dei bianchi liberi».
E nel Discorso d’insediamento alla presidenza nel 1860 dichiarò: «Non ho alcuna intenzione, diretta o indiretta, d’interferire con l’istituzione della schiavitù negli Stati in cui essa esiste».
Ovviamente in tutto questo, i sudisti sono i cattivoni di turno. Ma anche qui i fatti sono stati ampiamente alterati ed enfatizzati. Nessuno infatti sa che i nativi americani e gli schiavi neri, negli stati del Sud, non se la passavano poi così male. Tanto che in questa guerra fratricida e pretestuosa, al fianco dei sudisti, e contro i presunti “liberatori” nordisti, scesero in campo persino battaglioni di soli effettivi ebrei, con tanto di rabbino al seguito.
Ma anche plotoni di latinos, ossia di quei latino-americani che allora popolavano ampiamente il Texas, la California e la Florida, antiche colonie spagnole, nonché un reggimento a cavallo interamente di nativi cherokee. Per non parlare dei reparti militari costituiti esclusivamente da volontari neri.
Inutile dire che noi europei, più o meno consapevolmente, ci beviamo sempre le bufale d’oltreoceano, condite sempre bene, e impacchettate ancora meglio. Lincoln infatti è passato alla storia come il presidente che ha cambiato per sempre il corso degli eventi, e questo film è casualmente già in odore di Oscar (e sicuramente lo otterrà).
Concludiamo quindi con una citazione del nostro grande “padrino” Joseph de Maistre: “La storia è politica sperimentale”, a significare che sulla scacchiera del passato si gioca il futuro dell’umanità. Se ci tenete quindi, potete anche andare al cinema a vedere Lincoln, ma andateci a stomaco vuoto: vi assicuro che è un polpettone di politica americana pesante assai.
Isacco Tacconi
Fonte: Campari & De Maistre