Vizietto sì, mariage gay no

Paternità, maternità, diversità”; “Matrimoniofilo, non omofobo”; “Torna Jospin, sono diventati matti!”; “Tutti nati da un uomo e da una donna”: sono alcune delle scritte suggerite dagli organizzatori della manifestazione nazionale contro la legge che vuole istituire in Francia il matrimonio e l’adozione per le coppie gay.

 

Convocata a Parigi per “domenica 13 gennaio 2013, alle 13”, con tre diversi cortei che muoveranno da XIII, XVII e XIV arrondissement e che confluiranno a Champ-de-Mars, l’iniziativa scommette su una cabala fortunata, dopo che il movimento “apolitico, non confessionale e non omofobo” che si oppone al “mariage pour tous” aveva riempito a sorpresa le piazze di alcune grandi città del paese il 17 novembre scorso, con una prima “manif pour tous”.

Se il successo del 17 novembre andò oltre ogni aspettativa degli stessi promotori, il 13 gennaio si annuncia ancora meglio, almeno nei desideri di chi non si rassegna a quello che considera un colpo di mano del presidente François Hollande. Il quale, martedì scorso, in occasione dell’incontro di inizio d’anno con una quindicina di rappresentanti delle maggiori confessioni presenti nel paese (c’erano, tra gli altri, l’arcivescovo di Parigi e presidente della Conferenza episcopale francese, cardinale André Vingt-Trois, il gran rabbino di Francia, Gilles Bernheim, il rettore della grande moschea di Parigi, Dalil Boubakeur e il presidente della federazione protestante di Francia, Claude Baty) non ha mancato di sottolineare colloquialmente – nessun comunicato ufficiale, solo indiscrezioni – la volontà di mandare in porto quella legge “approvata democraticamente”, che riguarda “solo il matrimonio civile” e dunque non minaccerebbe in alcun modo, secondo il presidente, la libertà religiosa.

Difficile credere che i capi delle confessioni si siano fatti convincere. Ma comunque il punto dolente è esattamente quello del matrimonio civile: “Touche pas au mariage civil”, è un altro slogan del 13 gennaio, “Giù le mani dal matrimonio civile”. Non a caso, tra i principali promotori della manifestazione di domenica, c’è la socialista Laurence Tcheng, dell’associazione “La gauche pour le mariage républicain”, che si richiama proprio al Codice civile per parlare di “soperchieria”, né più né meno di quanto non abbia fatto nello scorso autunno il cardinale Vingt-Trois.

Più passa il tempo, più si dimostra come il presidente abbia dato troppo per scontato che la rivoluzione antropologica imposta, più che proposta (in un paese che, oltretutto, per garantire alcuni diritti di coppia agli omosessuali ha già da anni i Pacs) fosse materia da ordinaria amministrazione, da regolarsi in un paio di sedute parlamentari e senza troppe chiacchiere.

Strada facendo, si è dimostrato che non è così. Anche giornali schierati con il progetto di legge, come il Monde o Libération, non possono fare a meno di constatare che il matrimonio gay sta dividendo la società francese, molto al di là delle appartenenze confessionali e delle convenienze di partito.

E mentre i vescovi d’oltralpe, soddisfatti della piega che sta prendendo la mobilitazione, in larga parte non saranno presenti in piazza (vale anche per loro l’enfasi sui motivi squisitamente culturali e antropologici, più che religiosi, della contrarietà al progetto Hollande, così come per il gran rabbino Bernheim), si moltiplicano le prese di posizione di personalità laiche, che si aggiungono alla “pioniera” Sylviane Agacinski. Psicoanalista e femminista, oltre che moglie dell’ex premier socialista Lionel Jospin – anch’egli decisamente contrario alle nozze gay, il che spiega l’invocazionecitata all’inizio – e argomentatrice della prima ora della contrarietà al matrimonio omosessuale.

In attesa che la legge arrivi in discussione alla Camera, il prossimo 29 gennaio, si sta insomma dimostrando che l’aver voluto evitare accuratamente qualsiasi forma di dibattito e di consultazione popolare (come chiedono da tempo gli oppositori alla legge Taubira, dal nome della ministra della Giustizia che l’ha firmata) non si sta rivelando un buon affare per Hollande.

Troppo convinto che la concessione di “nuovi diritti” alla Zapatero potesse far dimenticare ai francesi altre promesse di rilievo sociale ed economico che il suo governo non è momentaneamente in grado di mantenere, e finito in un pasticcio nel quale mantenere il punto potrebbe costargli parecchio.

La cronaca degli ultimi giorni suggerisce che, intanto, la prospettiva della mobilitazione di domenica ha ottenuto quello che, fino a mercoledì, lo stesso presidente aveva chiesto al suo gruppo, fino a quel punto senza successo.

E’ stato alla fine faticosamente ritirato l’emendamento socialista che introduceva nel progetto definitivo di nozze gay la possibilità di procreazione medicalmente assistita per le coppie di donne. L’emendamento era osteggiato anche da una trentina di deputati socialisti, che avevano firmato un documento di dissociazione dal loro stesso gruppo, richiamandosi al fatto che la fecondazione assistita non rientrava nel famoso punto 31 del programma elettorale con cui Hollande prometteva il matrimonio omosessuale.

Il tema sarà trattato in una legge futura sulla famiglia, ha specificato il portavoce del partito per rabbonire le imbufalite associazioni Lgbt. E magari in quella sede si potrà ragionare anche di utero in affitto come servizio offerto alle coppie di uomini. Tappa obbligata, è fatale, in nome dell’“uguaglianza” dei cittadini.

Niente di strano, allora, se il presidente delle Settimane sociali francesi, Jérôme Vignon, che pure sostenne Hollande alle elezioni, ha annunciato sul Monde di ieri che sarà in piazza domenica, perché deve essere possibile “uno sbocco differente ed equilibrato al problema della discriminazione delle coppie che vivono un’unione omosessuale”, mentre è stata scelta “una via autoritaria, escludendo preventivamente un dibattito sull’opportunità di questa legge”, contando solo sui rapporti di forza in Parlamento e su “nient’altro.

Il presidente della Repubblica, che a un certo punto sembrava aver aperto a una dimensione di coscienza, ha subito fatto marcia indietro”. E allora non rimane altro che manifestare, scrive ancora Vignon, “ed è ciò che farò. Non per spirito di crociata. Ho ben presente il percorso che la società civile deve ancora fare, al di là delle leggi attuali, per accogliere in maniera giusta le persone omosessuali. Manifesterò per dire che la nostra Repubblica merita di meglio, che è in grado di aprirsi a libertà nuove senza sfuggire alle corrispondenti responsabilità”.

Gli organizzatori della “manif pour tous” di domenica, appaiono (ma è solo apparenza, appunto) come una sorta di pittoresca armata Brancaleone, lontanissima dai sospetti di truce omofobia e di confessioinalismo punitivo che molto farebbe comodo ai loro spiazzati avversari. Prima tra tutti quello stravagante e trascinante personaggio che si è rivelata la cinquantenne Frigide Barjot.

Cioè “Frigida Pazzerella”, pseudonimo di Virginie Merle, cattolica “rabelaisiana”, umorista e cronista mondana, amica dei gay e pronta a dare battaglia al minimo accenno di slogan omofobici; ma anche il ventunenne Xavier Bongibault – ateo e omosessuale, fondatore di “Plus gays sans mariage”, che si dichiara stufo di “essere ostaggio di una minoranza di attivisti settari che costringono al silenzio la maggior parte degli omosessuali”.

Sono loro la vera forza, di immagine e di sostanza, di questo variegato movimento francese anti “mariage pour tous”, che per domenica invita a lasciare a casa i foulard di Hermès e le gonne scozzesi e chiede di colorare di rosa, blu e bianco la manifestazione.

Il valore assoluto di quell’impostazione decisa e giocosa, capace di attrarre e rassicurare anche chi non ha affatto confidenza con lo “scendere in piazza”, sembra lo abbiano capito le forze politiche dell’opposizione, anche quelle più ingolosite dall’idea di pestare i piedi all’avversario Hollande. L’Ump ha aderito alla “manif pour tous” e Copé ha annunciato che parteciperà.

Ma non ci sarà Fillon, mentre il Fronte nazionale ha lasciato ai militanti libertà di decidere, e Marine Le Pen certamente non si farà vedere. L’Union des démocrates indépendants – la federazione che raggruppa esponenti di varie forze minori di centrodestra – ha chiesto invece mercoledì, in un documento firmato dai suoi parlamentari, che il processo legislativo sia sospeso e che sia “organizzato un vero dibattito nazionale” (a sostenere il “mariage pour tous” c’è però il presidente, Jean-Louis Borloo, e altri tre parlamentari, contro ventinove contrari).

Ordine sparso delle forze politiche, insomma, fatta parziale eccezione per l’Ump, che conta di mobilitare i propri aderenti per una manifestazione che si annuncia imponente, in un momento in cui il gradimento di Hollande è ai minimi storici. L’editorialista Alain Duhamel, su Libération, ha parlato, a proposito della manifestazione del 13 gennaio, di “resurrezione del popolo di destra”.

Ed è quasi più chiaro nelle sue parole, che in quelle dell’opposizione, quanto il dossier del matrimonio gay rifilato di straforo ai francesi potrebbe costare al Partito socialista: “E’ ovvio che i manifestanti chiederanno l’organizzazione di un referendum e che l’Ump la rilancerà: il popolo di destra lo vuole e ai dirigenti dell’Ump conviene. Ma Hollande non ha nessun interesse a organizzare questo referendum che, nelle attuali condizioni, ha tutta la probabilità di perdere”.

Un referendum sul matrimonio gay oggi Hollande lo perderebbe: non male come ammissione da parte del gauchista Duhamel. “Impresa elettoralmente suicidaria”, lo definisce. E conclude che, “costituzionalmente opinabile, il referendum sarebbe politicamente disastroso. La frustrazione del popolo di destra all’indomani del voto parlamentare del progetto sarà dunque immensa e creerà un clima di tensione e di nervosismo, al contrario di quanto auspicato da Hollande al momento della sua elezione. L’atmosfera politica e sociale diventerà infiammabile, in balìa della minima scintilla. Per il governo al potere, gli anni senza elezioni possono essere i più temibili”.

A dare una mano involontaria al collettivo promotore della “Manif pour tous” di domenica (ci saranno appuntamenti anche in altre città europee: a Roma è alle 15, davanti all’ambasciata francese, a piazza Farnese) ci si è messo anche il ministro dell’Educazione nazionale, Vincent Peillon. Il 12 dicembre scorso, il segretario per l’insegnamento cattolico, Eric de Labarre, aveva incoraggiato i docenti delle scuole superiori cattoliche a organizzare dibattiti sul tema delle nozze gay, là dove si fosse manifestata la richiesta di discuterne.

Il 4 gennaio, Peillon aveva detto al Monde che la cosa gli sembrava “inopportuna”, usando toni che hanno fatto parlare di censura e di ingerenza autoritaria. Questa sì, del tutto inopportuna. Tacere, non discutere, stare buoni. Gli organizzatori della manifestazione hanno raccontato che, dopo le dichiarazioni di Peillon, si sono moltiplicate, in provincia, le richieste per trovare posto sui pullman e i treni in partenza domenica per Parigi.

Ha scritto il Figaro, in una lunga intervista-ritratto a Frigide Barjot, che la sfida lanciata dalla manifestazione di domenica è quella del buonumore. Incarnato soprattutto dall’instancabile Frigide, dotata di incrollabile autoironia e “mai tanto circondata da una fede quasi mistica come alla vigilia di questa grande ‘manif pour tous’, di cui è ufficialmente solo una dei sette portavoce.

Ma è lei ad averne creato in realtà ogni aspetto, partendo da niente e da vera comunicatrice, e non esitando a valorizzare i profili atipici che le si sono alleati: militanti socialisti ostili al ‘mariage pour tous’ promesso da François Hollande, omosessuali che preferiscono i Pacs all’unione civile e all’adozione, lesbiche allergiche al fatto di essere rappresentate solo da gruppi dagli slogan aggressivi e settari”. La “manif pour tous”, peraltro, non teme i “kiss in”.

Se militanti pro “mariage pour tous” si baceranno in pubblico, la consegna per i manifestanti è di non considerarla una provocazione ma di fare altrettanto: “Noi non manifestiamo contro gli omosessuali. Siamo contro il matrimonio gay, non contro i baci”, spiega Frigide Barjot.

La sua forza è quella di potersi esprimere a nome di un “collettivo di persone di tutte le opinioni politiche, di tutte le confessioni, di tutte le età e di tutti gli orientamenti sessuali”, per lottare contro la pretesa di approvare per via di ordinaria amministrazione, quasi fosse un regolamento condominiale, un provvedimento che provoca “l’infragilimento autoritario e liberticida del matrimonio, della famiglia, della coesione sociale e del diritto dei figli, di tutti i figli, di non essere privati di un padre e di una madre, anche prima del loro concepimento”.

Senza rinnegare in nulla il sostegno dato nel 1999 alla proposta dei Pacs, Frigide Barjot, scrive ancora il Figaro “si è data come nuova missione quella di convincere Hollande – da lei conosciuto all’epoca in cui era il suo professore di Economia a Sciences-Po – di rinunciare alla sua promessa elettorale numero 31 o almeno di accettare di discuterne, prima di delegarne l’instaurazione ai soli parlamentari socialisti”.

Hollande ha già mandato a dire che non si farà condizionare “dalla piazza”. La cosa non ha mancato di provocare maligne rievocazioni di quando, non molto tempo fa, alla piazza faceva appello proprio il suo partito, contro Raffarin e la sua riforma delle pensioni. La politica, si sa, non è il paradiso della coerenza.

Nicoletta Tiliacos

 

 

Fonte: Il Foglio