Nel giugno scorso la rivista scientifica statunitense “Social Science Research”, la più prestigiosa “peer reviewed” del campo, ha pubblicato due studi molto interessanti sulle problematiche dei bambini cresciuti all’interno di una relazione omosessuale. Sono studi che hanno modificato il panorama delle conoscenze nel campo. Le prime ricerche su questo tema – e forse su queste si è basata la Corte Costituzionale – affermavano la non differenza nello sviluppo e crescita affettivo e psicologico di bambini di coppie eterosessuali e omosessuali.
Fino al giugno scorso come spiegava Francesco Paravati, presidente della Società Italiana di Pediatria Ospedaliera (SIPO) i problemi legati alle “nuove famiglie” erano fenomeni recenti; e le ricerche necessariamente di carattere preliminare, spesso condotti su gruppi piccoli e a breve termine.
Uno di questi due nuovi studi è quello del sociologo dell’Università del Texas, Mark Regnerus. Il suo studio è apparso come dotato di un impianto metodologico inedito quantitativamente e qualitativamente. Si è basato su un campione più grande a livello nazionale, e soprattutto ha dato la parola ai “figli” (ormai cresciuti) di genitori omosessuali.
Fra i dati presentati, e che hanno creato scalpore, è emerso che il 12% pensa al suicidio (contro il 5% dei figli di coppie etero), sono più propensi al tradimento (40% contro il 13%), sono più spesso disoccupati (28% contro l’8%), ricorrono più facilmente alla psicoterapia (19% contro l’8%), sono più spesso seguiti dall’assistenza sociale rispetto ai coetanei cresciuti da coppie eterosessuali sposate. Nel 40% dei casi hanno contratto una patologia trasmissibile sessualmente (contro l’8%), sono genericamente meno sani, più poveri, più inclini al fumo e alla criminalità.
L’autore afferma inoltre che i pochi studi finora pubblicati, e che sostengono la teoria della “nessuna differenza” tra bambini cresciuti in famiglie etero e gay, «si basano su dati non casuali e non rappresentativi, utilizzano campioni di piccole dimensioni che non consentono la generalizzazione alla popolazione più ampia di famiglie gay e lesbiche».
Il movimento LGBT negli Usa ha avviato una forte campagna di delegittimazione di Regnerus, spesso al limite dell’insulto e del linciaggio morale, con una violenza straordinaria. Sono stati firmati appelli perché l’Università del Texas licenziasse in tronco il ricercatore. Un’indagine interna è stata avviata, per verificare la scientificità dello studio.
Il 29 agosto però sul sito web dell’Università del Texas è apparso questo comunicato: «L’Università del Texas ha stabilito che nessuna indagine formale può essere giustificata sulle accuse di cattiva condotta scientifica presentate contro il professore associato Mark Regnerus riguardo al suo articolo pubblicato sulla rivista “Social Science Research”».
Secondo l’Università «Non ci sono prove sufficienti per giustificare un’inchiesta», e di conseguenza «la questione si considera chiusa dal punto di vista istituzionale». L’indagine interna ha dunque riconosciuto la legittimità del lavoro e la fedeltà al protocollo previsto dalla metodologia di ricerca.
L’Università del Texas è al 67° posto fra le migliori università del mondo, secondo il “US News and World Report”; al 35° posto nel mondo per la “Shanghai Jiao Tong University”, e al 49° posto migliore secondo “The Economist”. La ricerca di Regnerus è stata approvata anche da New York Times, certo non sospetto di simpatia verso posizioni tradizionali.
Il quotidiano ha scritto che «gli esperti esterni, in generale, hanno detto che la ricerca è stata rigorosa, fornendo alcuni dei migliori dati sul tema», da un gruppo di 18 scienziati e docenti universitari tramite un comunicato sul sito della “Baylor University” e da diversi psicologi e psichiatri che hanno scelto di prendere posizione, riconoscendo l’attendibilità degli scomodi risultati.
Marco Tosatti
Fonte: Vatican Insider
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