Monti? Solo tecnocrazia e vecchia politica – di Alessandro Gianmoena

In questi giorni lo spread è calato a 275 punti, sotto la cosidetta soglia prevista da Monti e, come un politico alla vecchia maniera, il professore si è affrettato ad attribuirsene il merito. E’ evidente come il tecnocrate super partes oggi sia disposto a fare carte false per accaparrarsi consensi.  Ma non è poi così vero che Mr Spread abbia temporaneamente abbassato le armi grazie all’operato del Governo dei tecnici.

 

Lo spread, infatti, risente dell’influenza della congiuntura internazionale e non solo degli andamenti economici del Paese a cui è legato. Questo lo sanno bene gli addetti ai lavori e gli economisti e si presume lo sapesse anche Monti, che, come un deus ex-machina, è stato calato nel panorama politico italiano guadagnandosi i galloni di senatore a vita e diventando presidente del Consiglio commissario ad acta anti-spread.

 

La cosiddetta «salita in campo» del prof., in realtà, è avvenuta più di un anno fa, quando Silvio Berlusconi ha fatto un passo indietro affinché l’Italia, vittima dell’imbroglio dello spread, non finisse nell’occhio del ciclone della speculazione. Ora che ci siamo abituati a convivere con gli alti e bassi di tale indice si può comprendere quanto esso sia stato uno strumento  politico contro il governo Berlusconi, non amato da certe segreterie europee che avrebbero voluto, come hanno ottenuto con Monti, un governo prono ad un’Europa germanocentrica.

 

Lo spread nel giugno del 2011, prima che la Deutsche Bank annunciasse di essersi liberata dei titoli pubblici italiani, era di 120 punti. Poi è salito fino a raggiungere quota 500, determinando la deadline del Governo Berlusconi. Successivamente esso calò a quota 270 agli inizi del 2012 grazie all’intervento della Bce di Mario Draghi, che aveva prestato soldi a tassi minimi. Ma fu una quotazione temporanea, perché l’effetto di tale operazione svanì facendo salire lo spread a quota 500. Ma questa soglia non determinò alcun esito negativo per il governo dei professori, a dimostrazione del fatto che l’indice finanziario non fosse poi più così esiziale per le sorti del Paese come era stato fatto credere quando in sella c’era Berlusconi.

 

Ci volle un altro intervento di Mario Draghi il 26 di luglio per riportare la situazione sotto controllo. In quell’occasione il Presidente della Bce annunciò di voler fare tutto il necessario per salvare l’euro e lo scudo anti-spread, che prevedeva l’acquisto illimitato di titoli dei Paesi membri Ue, venne attivato. Da allora l’indice, fra alti e bassi, si avviò ad una irreversibile discesa, rafforzata ora dagli effetti benefici dell’accordo di Washington tra Repubblicani e Democratici sul fiscal compact americano. Se lo spread è calato, quindi, lo dobbiamo a Draghi e ad Obama.

 

Nel senno di poi, alla luce di quest’ultimo anno di legislatura che si sta concludendo con la presentazione di una lista a nome del professore, sorge spontanea una domanda: ci si chiede se la scelta di Monti di candidarsi a premier fosse già maturata un anno fa oppure, se galvanizzato dalle lusinghe «interessate» delle cancellerie europee, abbia tentato questa via per dare continuità al suo operato, al suo governo tecnico che ha mantenuto l’Italia nei ranghi di sudditanza di un’Europa dominata da egoismi nazionali che di certo non hanno a cuore la crescita del nostro sistema produttivo.

 

La lista di Monti, in realtà, è solo un progetto che fungerà da foglia di fico ad un cartello elettorale che, attraverso uno sbandierato sincretismo politico e culturale, intende riproporre alla guida del Paese nient’altro che un surrogato di tecnocrati, lobbies e vecchi arnesi della politica proni ad un’Europa germanocentrica.  Se consideriamo, inoltre, i compagni di viaggio che si è scelto, Casini e Fini, che con il tatticismo hanno forgiato il loro professionismo politico, scopriamo quanto ambiguo sia il progetto politico di Monti che a parole si professa riformatore ma che nei fatti si regge sulle gambe della vecchia politica.

 

Per fortuna saranno gli italiani a decidere se intendono essere governati da un Esecutivo che ha molte similitudini programmatiche  con la sinistra, avendo aumentato le tasse e creato un clima di terrore da Stato di polizia tributaria. Ed al tecnocrate Monti non basterà un freddo calcolo basato sui meccanismi della legge elettorale per riprendersi Palazzo Chigi. La politica non è una scienza esatta. L’imprevedibile nasce dal cuore e dalle esigenze degli italiani, che non sono di certo un’indice come lo spread da poter strumentalizzare a seconda dei propri desiderata.

 

Fonte: Ragion Politica