Accorato appello del Papa, al termine dell’udienza generale, per la pace nella Repubblica Democratica del Congo, dove si sta combattendo nella regione del Nord Kivu. E’ emergenza per migliaia di civili in fuga dalle violenze.
Ascoltiamo le sue parole:
“Continuano ad arrivare gravi notizie sulla situazione umanitaria nell’est della Repubblica Democratica del Congo che da mesi è diventata teatro di scontri armati e di violenze. A gran parte della popolazione mancano i mezzi di primaria sussistenza e migliaia di abitanti sono stati costretti ad abbandonare le proprie case per cercare rifugio altrove. Rinnovo quindi il mio appello al dialogo e alla riconciliazione e chiedo alla comunità internazionale di adoperarsi per sovvenire ai bisogni della popolazione”.
L’appello del Papa ha messo in luce le emergenze che la popolazione sta vivendo nell’Est della Repubblica Democratica del Congo. A breve dovrebbero iniziare le trattative a Kampala, in Uganda, tra il governo congolese e i ribelli del M23, alla presenza anche di rappresentanti della società civile e sotto l’egida dei Paesi dei Grandi Laghi. A Goma, intanto, dopo l’uscita dei ribelli che si sono ritirati a 4-5 chilometri dalla città, la situazione è estremamente difficile per la popolazione. Lo conferma Antonella Girardi, capo-progetto a Goma dell’organizzazione non governativa Coopi, presente dal 1977 in Congo, dove porta avanti progetti di sicurezza alimentare, assistenza sanitaria, recupero psico-fisico degli ex bambini soldato, sostegno a distanza. l’intervista è di Francesca Sabatinelli:
R. – I ribelli hanno lasciato la città, però le persone non hanno ancora il coraggio di ritornare ai luoghi di partenza. In più, ci sono persone che negli ultimi mesi si sono spostate nei vari campi profughi e quindi in città sono allo sbando. I profughi arrivati per ultimi hanno caricato ulteriormente quelle strutture sanitarie che già sono ridotte ai minimi termini; inoltre, pur di trovare riparo, sono andati a rifugiarsi nelle scuole e così le scuole attualmente sono ancora chiuse perché servono da ricovero per tutte queste persone: siamo ora nella stagione delle piogge e questo significa che i bambini non hanno accesso alla scuola. Molte famiglie, inoltre, sono state divise a causa degli avvenimenti e quindi ci sono anche molte donne sole con i bambini. Il Centro Don Bosco ospita tra le 10 e le 13 mila persone, e non si vede una via d’uscita a breve termine.
D. – Cosa intendi? Queste persone non rientrano nelle loro case perché non ci sono le condizioni per farlo?
R. – In alcune zone della regione c’è un minimo di condizione per poter tornare, in altre zone no. Al di là del movimento di un certo numero di ribelli che c’è stato su Goma, è tutta la zona che non gode di sicurezza. In più, dopo il passaggio dei ribelli, a Goma c’è insicurezza generale: la prigione è stata attaccata e ci sono 1.200-1.300 prigionieri liberi in città. Soprattutto nei quartieri più periferici, dove la gente è più povera, l’insicurezza veramente è palpabile e ogni notte ci sono incidenti, le persone sono praticamente prigioniere in casa fin dalle quattro del pomeriggio, per paura del banditismo!
D. – Quali sono le emergenze? Suppongo soprattutto quella sanitaria e quella alimentare …
R. – Sì, noi siamo presenti, qui, e appoggiamo il Centro Don Bosco dal punto di vista sanitario con un apporto di personale. Siamo su alcune zone del rientro, sempre con programmi sanitari, abbiamo anche dovuto lasciare alcune zone per l’impossibilità di restare. I problemi sanitari sono enormi, perché comunque il disastro è arrivato a colpire una situazione sanitaria già precaria. Poi ci sono problemi nel campo dell’istruzione, perché con il grande numero di persone che si è rifugiato nelle scuole, le stesse sono state distrutte. E ancora, problemi alimentari soprattutto nelle zone del rientro: queste popolazioni hanno lasciato i luoghi di provenienza già a luglio/agosto e quindi non hanno potuto raccogliere nessun frutto del lavoro dei campi fatto precedentemente, e ora si ritrovano con le case bruciate o devastate dalle forze in armi, e con i campi vuoti perché i raccolti sono stati presi dalle persone armate che passavano. Quindi chi rientra, torna senza un minimo di sostegno. Anche se dovesse esserci una possibilità di assistenza sanitaria non del tutto gratuita o la possibilità di andare a scuola, non avrebbero comunque i fondi disponibili per accedere alle cure. E’ per questo che insieme con il governo provinciale, è stata decretata la gratuità delle cure possibili, certo, nei Centri sostenuti soprattutto dalle ong: nei centri di Stato è difficilissimo!
D. – Le ong stanno svolgendo un lavoro importantissimo: voi che appello lanciate, cosa chiedete?
R. – La disponibilità di fondi, ma di fondi immediati, nel senso che non sono programmi che possono aspettare due mesi, i fondi devono poter essere utilizzati in maniera elastica, perché questa gente, purtroppo, scappando dalle battaglie, si sposta da un posto all’altro. Quindi, servono fondi che non siano vincolati ad una zona ma alle necessità reali delle persone. E poi si chiede soprattutto alla comunità internazionale di riuscire a fare da mediatore in una zona e in situazioni veramente molto dure per la popolazione.
Fonte: Radio Vaticana