La colletta alimentare – La nostalgia di quell’abbraccio – di Antonio Socci

Un sabato di festa e di solidarietà. Oggi si compie in Italia il più grande evento di carità del nostro Paese: la “Colletta alimentare”. L’anno scorso 5 milioni di italiani hanno partecipato, consegnando ai 130 mila volontari (di decine di associazioni diverse), presenti fuori dai supermercati, 9700 tonnellate di cibo.

 

Che si sono sommate a eccedenze e donazioni confluite per tutto l’anno al “Banco alimentare”. In tutto 70 mila tonnellate di derrate.

Così nel 2011, attraverso 9 mila istituzioni caritative, si è dato da mangiare a 1 milione e 700 mila persone che ogni giorno si rivolgono a queste strutture di solidarietà.

Bisogna riflettere sull’enormità di questa cifra, perché si tratta di 1 milione e 700 mila persone, coi loro volti, nomi, storie, drammi umani.

In tempi di crisi, disoccupazione e impoverimento la “Colletta alimentare” è dunque un avvenimento popolare e – con il Banco – anche un fatto sociale di straordinaria importanza che dovrebbe insegnare molte cose. Pure a politici ed economisti.

Ma l’imponenza di quest’opera del volontariato non deve far dimenticare come tutto questo è nato. Ogni grande quercia infatti cresce da un piccolissimo seme, apparentemente trascurabile.

E’ una storia che inizia nel 1967. Siamo negli Stati Uniti. Un certo John Van Hengel, ex playboy in crisi e in difficoltà, in fuga dai problemi, finisce a Phoenix, in Arizona.

Senza meta, bussa alla parrocchia cattolica di Saint Mary, tenuta da frati francescani, e lì viene accolto. Non c’entrava niente con la Chiesa, ma era un uomo alla deriva e fu ospitato come un fratello. Per riconoscenza cercò subito di rendersi utile ai frati, specie alla loro mensa dei poveri.

Un giorno fu colpito da una povera donna, madre di dieci figli, che venne a chiedere aiuti, ma non il cibo. Lui si domandò: “Ma perché – con tanti figli – non chiede qualcosa da mangiare?”. Così decide di tenerla d’occhio e scopre che lei andava nei supermercati e si faceva regalare quello che doveva essere buttato e che era ancora buono. Geniale idea.

John decise di fare lo stesso per la mensa dei frati. In poco tempo riempì di alimentari la stanza di una ex pasticceria. Così, quando incontrò di nuovo quella donna, le raccontò tutto e lei gli rispose con una battuta che di nuovo accese qualcosa nella sua testa: “noi poveri avremmo bisogno di una banca del cibo”.

Nacque in questo modo – e proprio con il nome suggerito da quella madre – la “Food Bank”, il primo Banco alimentare del mondo, che – essendo germogliato all’ombra della chiesa di Saint Mary – fu denominato “St. Mary’s Food Bank”.

Il nome ha un suo senso profetico. Del resto i francescani di Phoenix sapevano bene che la Madonna, a Betlemme (toponimo che significa “casa del pane”), aveva messo al mondo Colui che si definì “il pane della vita”. Colui che ha descritto così il Giudizio finale: “avevo fame e mi avete dato da mangiare…”.

Il Banco alimentare nacque dunque negli Stati Uniti dall’intelligenza e la generosità di John Van Hengel, ma presto l’idea rimbalzò e si concretizzò pure in Canada, poi in Francia e in Spagna.

“Noi” mi racconta Marco Lucchini, Direttore generale del Banco alimentare italiano “incontrammo questa esperienza nel 1989”. Per “noi” intende un gruppo di amici che fanno parte di Comunione e liberazione.

Ancora una volta tutto accade tramite semplici incontri umani.

“Mi telefona Giorgio Vittadini perché sapeva che io lavoravo allora in una piccola catena di supermercati. E mi dice: ‘bisogna andare a Barcellona perché Diego mi ha raccontato che là ha visto una cosa che l’ha colpito: si chiama banco degli alimenti’. Vuoi andare a capire di che si tratta?”.

Lucchini continua: “Da quel viaggio ci venne la prima spinta. Così provammo a sondare il terreno fra le aziende. Finché incontrammo una persona straordinaria, Danilo Fossati fondatore della ‘Star’, la famosa azienda alimentare”.

Fossati è il classico lombardo tutto lavoro e voglia di fare. E’ diventato un imprenditore di grande successo, ma non si accontenta della ricchezza raggiunta. Si pone domande profonde sulla vita.

Del resto ha chiamato “Star” la sua azienda in onore a sua madre che si chiamava Stella, donna di grande fede, che, pur nella povertà, era sempre lieta. Non gli sfugge il paradosso per cui lui – pur avendo successo e ricchezza – si sente invece inquieto.

“Dunque” racconta Lucchini “gli facciamo incontrare don Giussani, per conoscerci meglio. Era il 1989. Non dimenticherò mai quel giorno. Don Giussani lo abbracciò alla sua maniera, con forza e affetto, e gli disse le parole che folgorarono quell’uomo: ‘lei ha un cuore grande come sua madre’. Fossati da quell’incontro intuì che poteva vivere la stessa umanità che ricordava in sua madre. Rispose commosso: ‘qualunque cosa mi chiederà io la farò’. Don Giussani non gli chiese mai niente, perché era già accaduto tutto. Fossati aveva capito che da lì, dall’azienda dove lavorava, poteva aiutare tanta gente. Era ciò a cui aspirava, un senso diverso della sua vita”.

Ma anche coloro che erano presenti a quell’incontro e a quell’abbraccio, e che iniziarono il Banco Alimentare con l’aiuto di Fossati, restarono commossi e colpiti per sempre. Lucchini per esempio lasciò il precedente lavoro e si buttò totalmente in questa avventura.

“Da allora” confida oggi “io ho desiderato essere abbracciato tutti i giorni in quel modo e ho desiderato di poter abbracciare tutte le persone che incontravo così, ogni giorno”.

Il Banco alimentare in fondo è stato ed è solo lo strumento per realizzare questo desiderio.

Lo è stato per i primi che lo iniziarono e oggi è lo strumento con cui migliaia di volontari e milioni di italiani, ogni anno, con la “Colletta alimentare” realizzano il desiderio di abbracciare chi è nell’indigenza e non ha neanche pane a sufficienza per sé e per i propri figli.

In fondo è lo stesso abbraccio che John Van Hengel ebbe quando bussò alla porta di quei frati francescani di Phoenix. E – andando a ritroso – è lo stesso abbraccio che ebbero quelle persone, in aperta campagna e senza cibo, a cui Gesù, “preso da compassione”, fece distribuire i due pani e cinque pesci.

Che prodigiosamente si moltiplicarono sotto i loro occhi sfamando cinquemila persone.

Tutta la vita di Gesù era l’immenso abbraccio di Dio: a ciascun uomo, ognuno con la sua fame di amore, la sua sete di significato. Ognuno col suo segreto dolore.

“La Colletta” aggiunge Lucchini “è un’idea che dal 1997 abbiamo copiato dai francesi. Per coinvolgere tutti nell’opera del Banco Alimentare”.

Oggi è davvero diventata quello che desiderava don Giussani, un immenso fondo comune volontario creato dagli italiani a favore dei poveri.

E non è solo un grande gesto di carità. E’ anche la soluzione di un grave problema sociale perché migliaia di persone che hanno fame sarebbero pure un problema di ordine pubblico e di sicurezza collettiva.

“Per questo” aggiunge Lucchini “chi dona un centesimo al Banco alimentare, ha indietro dieci volte tanto”.

E’ una storia molto istruttiva. Fra l’altro spiega la grandezza di un principio – la sussidiarietà – che tutti a parole omaggiano (ma senza praticarlo).

Basta immaginare cosa accadrebbe se fosse lo Stato a doversi occupare di allestire e gestire un simile “ammortizzatore sociale” per 1 milione e 700 mila persone.

E’ lecito temere enormi problemi di sprechi, inefficienze, spesa pubblica e quant’altro? Anche nei casi eventuali di efficienza, una cosa sarebbe ricevere un piatto di minestra da un ufficio, per via burocratica, altra invece riceverlo con un sorriso e un gesto di fraternità in opere di volontariato e di carità.

Perché l’uomo non vive di solo pane, ma soprattutto di umanità e ideali morali. Così pure l’economia di mercato, come ha spiegato Benedetto XVI nella “Caritas in veritate”. E qui comincerebbe un’altra riflessione sulla crisi economica che ci attanaglia.

Ma per oggi partecipiamo alla festa della gratuità.

Antonio Socci  – Da “Libero”, 24 novembre 2012

 

Fonte: il blog di Antonio Socci