E’ salito ad oltre 80 morti il bilancio globale delle vittime delle tensioni tra Israele e Gaza, quasi tutti palestinesi. Molte delle vittime sono bambini. Tre gli israeliani rimasti uccisi. Solo nella giornata di ieri decine i raid dello Stato ebraico sulla Striscia di Gaza, mentre i miliziani di Hamas, a loro volta, hanno lanciato un centinaio di missili sul territorio ebraico quasi tutti intercettati dalla contraerea israeliana.
Mentre si teme un’operazione di terra dell’esercito israeliano, si muove ai massimi livelli la diplomazia internazionale.
A Gaza è stata impietosa la giornata di ieri per la popolazione palestinese: oltre ad aerei e droni, Israele ha impiegato – la scorsa notte – anche unità navali. Gli obiettivi sono stati militari – è stato ucciso, fra gli altri, il comandante delle batterie di Hamas – ma inevitabili, per la contiguità, anche edifici civili. Molte le vittime innocenti: sono stati estratti dalle macerie di una palazzina 6 piccoli e 4 adulti di una stessa famiglia. D’altra parte incessanti sono stati anche i lanci di razzi palestinesi sul territorio israeliano. Alla frontiera con la Striscia, Israele ha ormai spiegato centinaia di carri armati e 30 mila sono i riservisti che presidiano la regione retrostante.
Il premier Netanyahu è pronto ad estendere le operazioni sul terreno, ma per scongiurare questa evenienza e stabilire una tregua – come auspicato dal presidente statunitense Obama, dall’Unione Europea e dalla Russia – è in corso una mediazione del presidente egiziano Morsi, fratello musulmano come gli esponenti di Hamas, al potere a Gaza, e al Cairo sta per arrivare il segretario generale dell’Onu. Graziano Motta
E l’Egitto rimane al centro della difficile opera di mediazione. Proseguono i colloqui con esponenti di Hamas e rappresentanti dei Paesi dell’area promossi dal presidente egiziano Morsi, il quale sta lavorando alla mediazione di un cessate il fuoco con Israele.
Eugenio Bonanata ne ha parlato con Arduino Paniccia, docente di Studi strategici ed economia internazionale all’Università di Trieste:
R. – Israele vuole andare a una tregua con l’assicurazione precisa della fine del lancio dei razzi e dei missili, e credo che questo sia un punto nodale sul quale naturalmente si sta muovendo con grande decisione anche il presidente Morsi. Ma ritengo sia difficile da accettare da parte della dirigenza di Hamas e, anche se fosse un tavolo in qualche modo accettato, credo sarebbe ancor più difficile farlo realmente rispettare. Questo è il motivo per il quale immagino che, nei prossimi giorni e nelle prossime settimane, sarà molto difficile vedere una smobilitazione, se non addirittura evitare l’attacco israeliano.
D. – Qual è il ruolo degli Stati Uniti? R. – Gli Stati Uniti hanno due leve di pressione molto forti, per le quali il loro ruolo è determinante. Verso l’Egitto, che vive anche di aiuti americani – e la cui economia è assolutamente aiutata, oltre che per quanto riguarda l’esercito, dai finanziamenti degli Stati Uniti – e Israele al quale va assicurato un posto ai sui negoziati riservati, se non addirittura segreti, per il nucleare iraniano e per la vicenda sirian. Credo che Obama non abbia dato queste assicurazioni a Israele, considerati anche i rapporti sufficientemente tesi con Netanyahu, e inoltre non stia esercitando fino in fondo le pressioni nei riguardi dell’Egitto. Non bastano le telefonate dalla Thailandia, per risolvere un problema come questo…
D. – Peraltro, Netanyahu ha detto che l’esercito è pronto a estendere le operazioni su Gaza: quindi, ha rafforzato i toni…
R. – E’ inutile dire che una parte dell’opinione pubblica israeliana, e anche una parte delle forze armate, guardi con molto timore all’invasione e cercherà di evitarla fino all’ultimo. Anche perché tutti sanno quali possano essere i costi – altissimi – di un’invasione di Gaza. Penso, comunque, che o gli Stati Uniti si faranno fautori e anche promotori di una decisissima azione tra i contendenti, oppure gli sforzi dell’Egitto e della Turchia siano destinati a fallire.
D. – Intanto, la situazione umanitaria a Gaza si fa sempre più difficile: l’Oms ha lanciato un appello ricordando che mancano soprattutto medicinali…
R. – Tuttavia, uno spiraglio si è aperto perché comunque anche oggi c’è stato un accordo sul terreno tra i militari e Hamas, per il passaggio di rifornimenti umanitari e medicinali. Onestamente, la cosa migliore sarebbe un atto di coraggio e di buon senso e una trattativa diretta tra i contendenti. Ho la sensazione che con le elezioni in Israele, a gennaio, questo possa difficilmente accadere. Comunque, il passaggio dei rifornimenti e dei medicinali lascia ancora un qualche margine di sia pur piccola speranza sul fatto che non si arrivi direttamente al conflitto.
Molte delle vittime del conflitto israelo-palestinese sono bambini. Un appello per la loro protezione è stato lanciato nei giorni scorsi dall’Unicef. Al microfono di Benedetta Capelli, Andrea Iacomini, portavoce dell’Organizzazione delle Nazioni Unite:
R. – In queste ore, siamo molto preoccupati dell’escalation del conflitto. Siamo preoccupati soprattutto perché a farne le spese sono sempre i bambini. La Striscia di Gaza è una zona chiusa da cui geograficamente è molto difficile uscire. Dall’altra parte, alcuni bambini israeliani – quelli che frequentano le scuole proprio a pochi chilometri dalla Striscia di Gaza – sono stati costretti a rimanere nelle loro case. Quindi la situazione è complessivamente allarmante. L’Unicef ha lanciato un appello a livello mondiale affinché le parti in causa cerchino in tutti i modi di evitare a questi bambini delle condizioni psicologiche traumatiche dovute agli esiti di questo conflitto.
Naturalmente l’appello è affinché queste vite vengano risparmiate. Non poco lontano da questa zona sappiamo come la violenza colpisca anche la Siria. Anche lì muore più di un bambino al giorno. Quindi, il quadro della situazione mediorientale ci rende davvero molto preoccupati. Ci auguriamo – davvero – che tra i palestinesi e gli israeliani prevalga il buon senso.
Non dimentichiamoci che proprio qualche anno fa, durante l’operazione Piombo fuso, l’Unicef è intervenuta immediatamente non solo perché c’erano stati feriti – c’erano stati bambini morti -, ma perché molti di loro erano risultati profondamente violati dagli esiti del conflitto; per violati si intende psicologicamente provati. Ecco perché è importante un intervento a 360 gradi che non sia solamente basato sull’assistenza, ma che intenda aiutare questi bambini nel loro percorso psicologico.
D. – Che tipo di intervento c’è stato da parte dell’Unicef allora con l’operazione Piombo fuso? C’è ancora un intervento in particolar modo sulla Striscia di Gaza?
R. – L’Unicef sulla Striscia di Gaza si è occupata di ricostruire – all’epoca dell’operazione Piombo fuso – le condizioni minime di accesso all’istruzione. Si è cercato di dare ai bambini un quadro che fosse il più possibile vicino alla normalità; quindi i bambini andavano a scuola, sono stati messi nelle condizioni di poter – insieme alle loro famiglie – essere ascoltati da psicologi, da specialisti anche per esempio attraverso disegni e attraverso il loro modo di esprimersi. Spesso, questi bambini hanno voluto esternare il loro modo di sentirsi rispetto a quello che stava accadendo, rispetto alle bombe che gli piovevano in testa.
L’Unicef cerca di comprendere così queste situazioni, cerca di assistere questi bambini, di parlare con le loro famiglie. E lo abbiamo fatto già al tempo dell’operazione Piombo fuso con un programma molto forte incentrato sia sulla parte scolastica – quindi provvedendo anche a fornire il necessario, il famoso kit scolastico che l’Unicef normalmente fornisce in queste situazioni – sia sulla parte che riguarda una forte assistenza dal punto di vista psicologico con degli esperti, cioè con delle persone formate e pronte – anche in loco – proprio per intervenire in questi casi. Poi, naturalmente a quell’epoca c’era stato anche un forte intervento umanitario, che in questo caso, noi ci auguriamo non debba avvenire.
Fonte: Radio Vaticana