Il Tribunale Vaticano ha condannato Claudio Sciarpelletti, il tecnico informatico della Segreteria di Stato, a quattro mesi di reclusione per favoreggiamento, pena ridotta a due, per le attenuanti generiche. Concesso il beneficio della sospensione della pena per 5 anni. La sentenza giunge nell’ambito delle indagini per furto aggravato di documenti riservati; filone che ha portato alla condanna anche dell’ex assistente di camera del Papa, Paolo Gabriele.
Il Tribunale presieduto da Giuseppe Dalla Torre ha anche disposto la non menzione della condanna nel casellario giudiziario. A carico di Sciarpelletti disposto il pagamento delle spese processuali. L’avvocato di parte annuncia il ricorso.
Quattro mesi di carcere, ridotti a due, per “lo stato di servizio e la mancanza di precedenti penali”. Claudio Sciarpelletti secondo il Tribunale Vaticano ha aiutato ad “eludere le investigazioni dell’autorità”, nell’ambito dell’inchiesta che ha portato alla condanna, per furto di documenti riservati, dell’ex maggiordomo del Papa, Paolo Gabriele. I magistrati hanno anche concesso la sospensione della pena “per cinque anni” e la non menzione della condanna nel casellario giudiziario a patto che Sciarpelletti non commetta altri reati. Accolta quindi la richiesta del promotore di giustizia, Nicola Picardi, respinta invece quella di assoluzione presentata dall’avvocato di parte, Gianluca Benedetti, che conferma il ricorso in appello.
In sostanza, i giudici hanno considerato, come un intralcio alla giustizia, le diverse dichiarazioni rilasciate da Sciarpelletti dopo il ritrovamento, in un cassetto della sua scrivania, di una busta con il timbro dell’Ufficio informazione della Segreteria di Stato e una scritta che indicava Paolo Gabriele.
Avvocati e giudici oggi hanno ascoltato la ricostruzione di quanto accaduto nei mesi scorsi anche attraverso le deposizioni di quattro testimoni voluti dalla difesa.
Sciarpelletti ha ribadito lo sconcerto, ha confermato la sua dedizione alla Santa Sede, che non conosceva il contenuto della busta, che aveva dimenticato di averla riposta in un cassetto inutilizzato e che non ricordava chi gliela avesse consegnata anche se ha escluso dai suoi ricordi sia Paolo Gabriele sia mons. Carlo Maria Polvani, responsabile dell’ufficio informazione della Segreteria di Stato, come precedentemente invece dichiarato ai gendarmi.
Chiamato a deporre come testimone mons. Carlo Maria Polvani ha ribadito l’amore al servizio per la Chiesa, la gratitudine per la fiducia rinnovata dei superiori e della Segreteria di Stato. Ha poi tratteggiato l’efficiente profilo professionale di Sciarpelletti, pur sottolineando la tendenza del tecnico ad “andare nel pallone” per questioni personali. Poi ha precisato che il timbro rilevato sulla busta, oggetto del processo, è facilmente accessibile perché riposto in un corridoio frequentato da molte persone, anche dallo stesso Sciarpelletti. Ha poi precisato: “per quanto mi risulta Sciarpelletti e Gabriele erano buoni amici”.
Sollecitato dai magistrati l’ex assistente di Camera ha confermato di aver consegnato a Sciarpelletti i documenti contenuti nella busta, di non ricordare come e quando e che non si trattava di atti riservati d’ufficio, ma altro materiale tra cui una e-mail. Ha evidenziato che i due si confrontavano anche su questioni vaticane “che all’epoca dei fatti lo preoccupavano”. E che più di una volta ha invitato il tecnico a leggere documenti da lui selezionati frutto di ricerche su internet.
Assente, per giustificati motivi, il capo della Gendarmeria Domenico Giani, l’avocato di parte ha rinunciato ad acquisire la sua testimonianza. Concordi nel definire Sciarpelletti collaborativo, il vice comandante della Guardia Svizzera, William Kloter, e il vicecommissario della Gendarmeria, Gianluca Gauzzi Broccoletti, che nelle loro deposizioni hanno definito l’uomo spaventato dal ritrovamento della busta.
Durante le deposizioni di oggi è emerso anche il nome di mons. Pietro Pennacchini in riferimento ad una busta che Sciarpelletti avrebbe dovuto portare a Gabriele. Nel briefing seguito alla sentenza il direttore della Sala Stampa vaticana, padre Federico Lombardi, ha precisato che “Sciarpelletti ha dichiarato che lui riceveva delle buste e le portava a destinazione in altri uffici, cosa che succedeva abitualmente” e che il fatto “che avesse ricevuto una busta da parte di un monsignore per portarla da un’altra parte era una prassi normale in un ufficio articolato”. Padre Lombardi ha anche precisato che da oggi decorre il termine di tre giorni per formalizzare ufficialmente il ricorso.
Massimiliano Menichetti
Fonte: Radio Vaticana