La fede è un “dono soprannaturale”, ma anche un libero atto dell’uomo che decide consapevolmente di affidarsi all’amore di Dio, che cambia la vita. Benedetto XVI ha ripetuto questa “verità elementare” alle migliaia di persone che questa mattina, all’udienza generale in Piazza San Pietro, hanno ascoltato la sua seconda catechesi dedicata all’Anno della Fede.
Decenni di “pianificazione”, di calcoli esatti, di sperimentazione hanno trasformato l’umanità in una moderna versione di San Tommaso: credo solo a ciò che tocco. Parte da questo punto la riflessione del Papa sullo stato della fede oggi nel mondo. Gli slanci degli inizi, rileva, sono finiti nel vortice di mille domande che chiedono cosa sia la fede e se ancora serva a qualcosa. In parallelo, è cresciuta la “fede” nella tangibilità della scienza e della tecnica, senza che tuttavia la “grandezza” e l’importanza delle loro scoperte, ha constatato Benedetto XVI, siano riuscite a rendere l’uomo davvero “più libero, più umano”:
“A volte, si ha come la sensazione, da certi avvenimenti di cui abbiamo notizia tutti i giorni, che il mondo non vada verso la costruzione di una comunità più fraterna e più pacifica; le stesse idee di progresso e di benessere mostrano anche le loro ombre (…) Un certo tipo di cultura, poi, ha educato a muoversi solo nell’orizzonte delle cose, del fattibile, a credere solo in ciò che si vede e si tocca con le proprie mani”.
È il problema che nasce, prosegue il Papa in chi ha una “visione solo orizzontale della realtà”. Una visione che da sola non basta, perché oltre il sapere c’è un’altra sapienza che porta diritti nel cuore di Dio:
“Noi abbiamo bisogno non solo del pane materiale, abbiamo bisogno di amore, di significato e di speranza, di un fondamento sicuro, di un terreno solido che ci aiuti a vivere con un senso autentico anche nella crisi, nelle oscurità, nelle difficoltà e nei problemi quotidiani. La fede ci dona proprio questo: è un fiducioso affidarsi a un ‘Tu’, che è Dio, il quale mi dà una certezza diversa, ma non meno solida di quella che mi viene dal calcolo esatto o dalla scienza”.
La fede, ha proseguito Benedetto XVI, è un “dono” che viene dall’alto e, insieme, “un atto autenticamente umano” in un amore “che non viene meno di fronte alla malvagità dell’uomo”, che consola, che salva:
“Penso che dovremmo meditare più spesso – nella nostra vita quotidiana, caratterizzata da problemi e situazioni a volte drammatiche – sul fatto che credere cristianamente significa questo abbandonarmi con fiducia al senso profondo che sostiene me e il mondo (…) E questa certezza liberante e rassicurante della fede dobbiamo essere capaci di annunciarla con la parola e di mostrarla con la nostra vita di cristiani”.
Credere, ha incalzato ancora il Papa, “non è un semplice “assenso intellettuale dell’uomo”, ma un libero atto di fiducia verso Dio. Certo, non un’“adesione priva di contenuti”, perché la fede rende consapevoli che Dio è diventato tangibile, carne, in Gesù:
“Il rifiuto, dunque, non può scoraggiarci. Come cristiani siamo testimonianza di questo terreno fertile: la nostra fede, pur nei nostri limiti, mostra che esiste la terra buona, dove il seme della Parola di Dio produce frutti abbondanti di giustizia, di pace e di amore, di nuova umanità, di salvezza. E tutta la storia della Chiesa, con tutti i problemi, dimostra anche che esiste la terra buona, esiste il seme buono e porta frutto”.
Dalla consapevolezza della fede al suo dono. Nel mondo innamorato più della materia che dello spirito, diffondere il Vangelo – ha messo in guardia Benedetto XVI, può presentare dei “rischi”, primo fra tutti quello del rifiuto di Cristo. Ma, ha obiettato…
“…non è contrario né alla libertà né all’intelligenza dell’uomo (…) Anzi, le implica e le esalta, in una scommessa di vita che è come un esodo, cioè un uscire da se stessi, dalle proprie sicurezze, dai propri schemi mentali, per affidarsi all’azione di Dio che ci indica la sua strada per conseguire la vera libertà, la nostra identità umana, la gioia vera del cuore, la pace con tutti”.
Tra i saluti particolari al termine delle catechesi in lingua, il Papa si è rivolto ad alcuni gruppi di religiose – tra le quali le Suore della Santissima Madre Addolorata riunite in Capitolo generale – e ai delegati dell’Unione Apostolica del Clero nel 150.mo di fondazione. Quindi, al tradizionale pensiero finale dedicato ai nuovi sposi, ai giovani e agli ammalati, Benedetto XVI si è soffermato sulla figura del Beato Giovanni Paolo II:
“Cari giovani, imparate ad affrontare la vita con il suo ardore e il suo entusiasmo; cari ammalati, portate con gioia la croce della sofferenza come ha saputo insegnarci lui stesso; e voi, cari sposi novelli, mettete sempre Dio al centro, perché la vostra storia coniugale abbia più amore e più felicità”.
Alessandro De Carolis
Fonte: Radio Vaticana