«La sventura non sta nel fatto che due menzogne si dilanino tra loro, ma che esse lottino sul corpo di una verità assassinata» (Gustave Thibon)
Non so voi, ma quando mi girano, mi girano. E’ stata presentata oggi a Milano “Safe Book”: la campagna di informazione sulla prevenzione delle malattie sessualmente trasmesse; un progetto che prossimamente coinvolgerà 4000 scuole superiori e 3000 scuole medie della nostra Penisola, per un totale di circa 600 mila studenti.
Il progetto è realizzato da Anlaids e dalla Durex. Non so voi, ma io qualche domanda me la pongo e mentre mi pongo qualche domanda, il cervello comincia a lavorare di addizioni e moltiplicazioni e il risultato sono tanti tanti tanti euro. Continuo a leggere e scopro che Durex ha svolto un’indagine internazionale da cui si evince che “solo il 17 % degli italiani ritiene la scuola una fonte di informazione in quest’ambito, rispetto al 32% globale”, e che “per gli adolescenti italiani gli amici rappresentano la fonte primaria di informazioni sessuali (60%), seguono i libri (40%) e, inaspettatamente, il dialogo con il proprio partner (30%). La ricerca di informazioni sessuali su internet nel nostro paese si colloca al 5° posto (con un 28%), subito dopo i magazine (29%)”.
Non so voi, ma a me inquieta che nell’articolo che ho letto non si nomini mai la famiglia. Chissà se nei sondaggi va ancora di moda chiedere agli adolescenti se parlano e si confrontano con mamma e papà (o, secondo il politically correct, con il genitore 1 e il genitore 2). Non so a voi, ma che la Durex e lo Stato vogliano educare i miei figli come vogliono loro mi fa venire l’orticaria. Leggo ancora, ma da un’altra parte.
Leggo la lettera aperta che la LAIGA (Libera Associazione Italiana del Ginecologi per l’Applicazione della legge 194) ha scritto oggi al Ministro della Salute Renato Balduzzi. Si parla di aborto, di consultori, di obiezione di coscienza e di tutto quel che potete immaginare. No. Più di quel che potete immaginare. Qui c’è dell’altra gente che si rivolge urbi et orbi e sa lei cosa è bene per tutti. Stia comodo, signor ministro.
Comodi, colleghi ginecologi obiettori. Non serve che pensiate a nulla. Nutrendo altisssssima stima per la vostra indiscussa professionalità, pensiamo a tutto noi e lestamente (lestofantemente) vi collochiamo in men che non si dica nei posti che vi meritate. Lontani, lontanissimi dagli ospedali. Sentite qui: «I medici obiettori (certo i più qualificati e certamente spinti da più alti principi etici) potrebbero essere utilizzati nei consultori per convincere le donne a non abortire». O qui: «Chiediamo (al ministro, ndr) di allargare lo sguardo e di muoversi nella logica non della semplice prevenzione all’aborto, ma in quella delle gravidanze indesiderate, promuovendo in primo luogo un più facile accesso alla contraccezione sicura. Siamo certi che i ginecologi obiettori sarebbero felici di essere impiegati a tal fine nei nostri consultori».
L’elenco dei diktat, spacciati per buoni consigli (non richiesti) è firmato, come detto, dai medici della LAIGA, che si sentono «costretti a sobbarcarsi un carico di lavoro considerato generalmente “bassa manovalanza”». Sempre loro, dando i numeri (rendendoli espliciti, intendo), dicono che i numeri però non «parlano dell’impegno civile, dell’ostinazione, della passione per la nostra professione, che ci spingono a continuare a lavorare per la tutela della salute riproduttiva».
Non so voi, ma che interrompere una gravidanza (che poi è uguale a far fuori un bambino) sia considerato dalla LAIGA «bassa manovalanza» ma anche «impegno civile», mi spinge a stare lontana, anzi lontanissima da tutti ma proprio tutti quelli della LAIGA. (Sì, “quelli”. “Medici” francamente mi sembra una parola grossa).
Non so voi, ma io che sono donna, e madre di due figli, e insegno italiano, credo proprio che ’sta storia della “salute riproduttiva” sia una gran fregnaccia. Non so voi, ma che si parli di «semplice prevenzione all’aborto», come se salvare una vita fossero quisquilie a me pare che racconti bene, e senza ombra di dubbio, con chi abbiamo a che fare.
Luisella Saro
Fonte: Cultura Cattolica