La Crandall University è un’università canadese d’ispirazione cristiana. È finita sotto il mirino delle lobby omosessuali per i criteri previsti nell’assunzione dei suoi dipendenti, tra cui vi è quello di riconoscersi negli insegnamenti biblici in materia di matrimonio ed etica sessuale.
Poiché, com’è noto, tali criteri non prevedono la legittimità dei matrimoni gay, è scattata immediatamente l’accusa di discriminazione, e la richiesta di un intervento da parte dello Stato, che, tradotto in “soldoni”, significa niente più finanziamenti pubblici.
Intollerabile lo scandalo di un’università cristiana che pretenda dai propri docenti e dipendenti l’adesione ad un concetto di matrimonio limitato a quello «between one man and one woman». Niente nozze gay. Da qui l’accusa infamante di omofobia, e la richiesta da parte di “River of Pride”, l’associazione organizzatrice della settimana dell’«orgoglio omosessuale», e della “Canadian Association of University Teachers”, l’associazione dei docenti universitari canadesi, di sospendere l’erogazione di contributi pubblici ad un’istituzione scolastica basata su standard etici definiti «inappropriati» ed in contrasto con la legislazione sui diritti umani.
Questi soloni dei diritti umani sembrano però dimenticare che la libertà si articola attraverso varie espressioni, tra cui anche quella relativa all’educazione ed al credo religioso. A ricordarglielo ci ha pensato Seth Crowell, vice presidente della stessa Crandall University, precisando che la scuola ha il diritto a mantenere la propria ispirazione cristiana secondo un’esplicita legge che risale al 1983. È scesa in campo anche la “Catholic Civil Rights League”, associazione cattolica in difesa dei diritti civili, che ha lamentato la sottovalutazione dell’importanza storica della religione nell’insegnamento canadese, e ha denunciato il sempre più evidente tentativo di emarginare la fede cristiana dal mondo accademico.
Nel frattempo, l’avvocato Alison Menard, il quale sostiene che la Crandall University non può definirsi un’istituzione privata se ottiene sovvenzioni pubbliche, sta già organizzando una class action contro l’istituto scolastico. In Canada, quindi, secondo gli attivisti dell’antidiscriminazione, lo Stato non dovrebbe più garantire ai cristiani la libertà di scelta nel tipo di educazione da dare ai propri figli. Ed è davvero singolare che ciò debba accadere proprio in un Paese che ama definirsi, «Land of the Free», e che ha fatto della libertà il proprio tratto distintivo, rivendicandolo espressamente persino nell’inno nazionale («Glorious and free», «Strong and free»).
A proposito di libertà e diritti, occorrerebbe ricordare a tutti che l’art. 26, terzo comma, della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo, firmata a Parigi il 10 dicembre 1948, sancisce testualmente che «i genitori hanno un diritto prioritario nella scelta del tipo di formazione che deve essere data ai loro figli». Ci fu un motivo ben preciso per cui gli estensori della Dichiarazione ritennero di inserire proprio quel principio. Tale motivo derivò dalla constatazione del modo in cui il regime nazional-socialista del Terzo Reich aveva tentato di utilizzare il sistema scolastico per emarginare il ruolo dei genitori e procedere ad un’operazione di indottrinamento dei giovani attraverso i programmi governativi.
L’educazione non può essere lasciata al monopolio dello stato. Si ricordi questo principio, prima che l’ideologia omosessualista degeneri fino al punto da far rivivere le ragioni che portarono gli estensori della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo a formulare l’art. 27, terzo comma.
Gianfranco Amato
Fonte: Corrispondenza Romana