Libertà di satira, di foto e di critica da una parte. Dall’altra rispetto della fede, della privacy e della dignità personale. Il conflitto sembra riproporsi ogni giorno: le foto della principessa inglese, le vignette di Vauro sul ministro Fornero, le (nuove) vignette su Maometto del settimanale “Charlie Hebdo”, il filmaccio sull’Islam che ha scatenato violente reazioni. E altri film anticristiani che non hanno suscitato neanche proteste.
Si ripropone pure il caso Rushdie con l’ultimo suo libro appena uscito e anticipato l’altroieri da “Repubblica” col titolo “Quando arrivò la fatwa e pensai: sono morto”.
Rushdie, che vive protetto in Occidente da quando lo stesso Khomeini sancì la sua condanna a morte per il romanzo “I versi satanici”, ritenuto blasfemo, è considerato un Eroe nei salotti intellettuali. Che poi, magari, predicano il multiculturalismo e l’apertura acritica al mondo islamico.
Salotti che soprattutto se ne infischiano della sorte dei cristiani che vivono perseguitati e sotto costante minaccia in regimi musulmani come il Pakistan.
Eppure sono cristiani che mostrano ben più eroismo di qualunque scrittore che vive in Occidente come Rushdie.
Sono le contraddizioni dei laici nostrani. Ma tutti ne hanno. Infatti il conflitto fra libertà di espressione e rispetto degli altri (che non è risolto né da leggi né da regole condivise) è influenzato dai rapporti di forza e spesso pone tutti in contraddizione con se stessi.
Prendiamo i francesi. In poche ore hanno preso decisioni opposte. Il tribunale di Nanterre ha sostanzialmente condannato il settimanale “Closer” per le foto in topless della principessa inglese Kate. Anche se – riferisce il Corriere – “la stampa inglese nota come una sentenza così severa difficilmente sarebbe stata pronunciata in Gran Bretagna”.
Dunque grande rigore oltralpe in difesa della privacy della coppia reale inglese (questione in fin dei conti leggera) e invece assoluta libertà per il settimanale satirico parigino “Charlie Hebdo” il quale propone delle “spericolate” vignette su Maometto che vorrebbero essere una “provocazione” in difesa della libertà di espressione, viste le violente manifestazioni dei paesi islamici contro il film “Innocence of Muslims”.
E visto che, il 2 novembre scorso, la redazione dello stesso settimanale fu bruciata con una molotov mentre il numero in edicola ironizzava sull’Islam (per la vittoria del partito musulmano in Tunisia).
Il Comitato che raggruppa i musulmani francesi condanna questa iniziativa del settimanale come un “nuovo atto di islamofobia che vuole offendere deliberatamente i sentimenti dei musulmani”.
Il premier socialista francese Ayrault ha disapprovato l’iniziativa del giornale satirico, ma non ha preso provvedimenti che limitano la libertà di satira. Invece lo stesso Ayrault ha annunciato il divieto di manifestare a Parigi contro il film “Innocence of Muslims” ritenuto anti-islamico dai musulmani.
Il primo ministro ha usato parole forti: “siamo in una repubblica che non ha intenzione di farsi intimidire… un paese in cui è garantita la libertà d’espressione, compresa la libertà di satira”.
Parole coraggiose. Tuttavia non si capisce perché un paese così libero deve respingere delle richieste di manifestazioni che sono anch’esse espressione libera del pensiero.
Il premier ha detto che “se veramente delle persone si sentono offese nelle loro convinzioni e pensano che sono stati calpestati dei diritti, possono rivolgersi ai tribunali”.
Bene. Ma perché non si può esprimere pacificamente indignazione in piazza per un film o delle vignette che i musulmani ritengono offensive? Il topless della principessa inglese (che è stata paparazzata al pari di una quantità di personaggi famosi al mare), è davvero più sacro inviolabile della fede di milioni di persone?
Se si proibiscono delle manifestazioni legali non si finisce per spingere a manifestare illegalmente (quindi, poi, facilmente, con la violenza)?
C’è chi si chiede pure se abbia senso che – in nome della libertà di satira – si mettano a repentaglio la sicurezza o anche le vite delle persone.
Le risposte non sono facili.
Intanto i fondamentalisti sono in subbuglio e sembra che si annunci una tempesta. Mentre la Lega Araba tuona: “Prima il film che ha provocato reazioni violente, ora le vignette su Maometto. Queste cose devono finire”.
E’ un’intimazione? Bel problema planetario. Veniamo a casa nostra, alla polemica fra il ministro del lavoro e il disegnatore satirico del “Manifesto”, Vauro che ha fatto una vignetta davvero pesante.
Dove la signora Fornero è raffigurata in calze a rete davanti al telefono con questa scritta: “Fiat-Marchionne – Fornero: ‘Aspetto che il telefono squilli’ ”. Titolo della vignetta: “La ministra squillo”.
Vauro (forse) intendeva essere sarcastico sull’ “attendismo” della Fornero sulla Fiat, ma con disegni e parole che – a mio avviso – giustificano la dura risposta del ministro: “Trovo vergognosa la vignetta di Vauro che denota il persistente maschilismo, volgare e inaccettabile, da parte di alcuni uomini”.
Vauro ovviamente se la ride, è uno di coloro che osannano la libertà di satira come se fosse l’unica cosa sacra e intoccabile del mondo.
Però con un’eccezione. Condannò come “cattivo gusto” le famose vignette su Maometto del febbraio 2006 e disse: “non le avrei mai messe in pagina”.
In effetti quante volte il disegnatore del “Manifesto”, che pure è così graffiante sulla Chiesa Cattolica e i suoi simboli sacri, si è permesso di toccare l’Islam?
Come e quando ha fatto satira in quella direzione? E’ sempre “di cattivo gusto” o è semplicemente pericoloso?
Invece sul cristianesimo, la Chiesa e il papa è sempre permesso tutto. Non si rischia nulla. Le “provocazioni” ormai sono così abusate che non fanno più notizia.
Lo si è visto al recente festival del cinema di Venezia. E’ stato annunciato come uno “scandalo” esplosivo il film “Paradise Faith”, in cui la protagonista pratica l’autoerotismo utilizzando un crocifisso.
Sebbene la trovata sia effettivamente inqualificabile non ha suscitato la minima reazione in nessuno (come pure altri episodi di fondamentalismo anticristiano dei mesi scorsi).
Perché è scontato che su Cristo e la Chiesa tutto sia permesso e nessuno protesti o li difenda.
Qualche cattolico si è detto sconcertato perché il 12 settembre una severa dichiarazione di padre Federico Lombardi, portavoce della sala stampa vaticana, ha tuonato in difesa di Maometto e non di Gesù contro “le ingiustificate offese e provocazioni”. Infatti non si riferiva al film di Venezia, ma a quello prodotto in America e giudicato offensivo dagli islamici.
Tuttavia padre Lombardi ha anche pronunciato parole che valgono per tutti i casi: “il rispetto profondo per le credenze, i testi, i grandi personaggi e i simboli delle diverse religioni è una premessa essenziale della convivenza pacifica dei popoli”.
Inoltre la Chiesa in genere evita proteste pubbliche contro quelle “provocazioni” anticristiane perché i loro autori spesso cercano proprio questa pubblicità, per atteggiarsi a martiri della libertà di espressione e far passare la Chiesa come un’istituzione intollerante e oscurantista.
Infine è giusto che padre Lombardi abbia fatto tempestivamente quella dichiarazione contro il film antislamico per scongiurare il rischio che nei paesi musulmani le folle urlanti se la prendano – come accade spesso – con le minoranze cristiane, identificate arbitrariamente con coloro che, stando in Occidente, bersagliano il loro Profeta.
Ma la situazione è assurda.
In queste ore abbiamo scoperto che sacre e intoccabili sono: l’immagine dei seni della principessa inglese, la satira, la libertà di espressione, lo stato francese, l’Islam, Rushdie, i ministri italiani e i disegnatori satirici.
L’unico, per la mentalità dominante, a non essere ritenuto sacro e intoccabile è Gesù Cristo. Inerme, il Figlio di Dio è alla mercé di chiunque.
Antonio Socci
Da “Libero”, 20 settembre 2012
Fonte: il blog di Antonio Socci