“Le venti-trentenni per la prima volta sono molto più avanti dei coetanei sulla strada della realizzazione. Più che la pillola o l’aborto, ciò che ha reso possibile il cambiamento è la loro capacità di posticipare il matrimonio o di avere relazioni temporanee che non ostacolano istruzione o carriera.” L’altro giorno (sì, lo confesso, ero seduta e leggevo il giornale, ma solo perché mi trovavo in treno, non è colpa mia), ho dovuto leggere due volte.
Non ci credevo che Hanna Rosin scriva davvero così, oggi, nel 2012, nel suo The End of men, la fine degli uomini, il saggio americano che sta facendo discutere nel mondo, o almeno pare (dubito sempre dei successi proclamati dai giornali, che spesso si parlano sopra, l’uno sull’altro, ma se incontro due signore nella metro che discutono di The end of men sono pronta a ricredermi).
Non posso credere che anche di fronte al disastro che ci circonda qualcuno possa in buona fede parlare di aborto, pillola e relazioni temporanee come di un successo, come di “essere avanti”. Posso credere che sia la condotta che ha vinto, posso credere che ormai per moltissime persone certi temi non siano neanche più da discutere, all’ordine del giorno, ma che qualcuno la definisca una conquista, questo non me lo spiego. Mi sembra evidente che su questo fronte, che è poi quello decisivo, ci sia una infelicità diffusa, e che la cosiddetta liberazione sessuale abbia sì vinto, facendo però perdere tutti, uomini e donne, lasciando dietro di sé sofferenze, insicurezze, solitudine.
Il brano citato era in un articolo di Elvira Serra, sul Corriere della sera di sabato, dal titolo: “Non mi chiami più? Ok, io esco da sola”; occhiello: “Nuovi modelli: una riserva di amici al posto del partner giusto”; sommario: “Amore, carriera, vita sociale. Le venti trentenni somigliano più ai maschi che alle madri. E alla relazione stabile preferiscono un giro di giostra”. L’articolo fotografa quella che pare ormai diventata una realtà diffusa, ma in modo malcelato la saluta come una gioiosa e trionfale evoluzione, guardandosi bene dall’interrogarsi sulle conseguenze, perché, pare, dare giudizi su questo tema è altamente fuori moda, in nome del vessillo della massima libertà, valore supremo.
Il massimo del dubbio viene espresso dal sessuologo Marco Rossi che dice “sono esperienze che lasciano l’amaro in bocca”, mentre la sua collega Chiara Simonelli la prende più leggera: “sul fronte verginità le ventenni non si comportano più come la nonna. A quell’età tutta una serie di esperienze sono già state fatte, e con pochi sensi di colpa. Sempre più spesso scelgono di andare a letto con un amico, più semplice, più rassicurante, meno vincolante. Tutto sommato questa libertà di sperimentare la vedo positivamente.”
Credo che sia una tragedia che i giornali di massima diffusione continuino a fare da traino a questa mentalità che non è affatto dominante, come vogliono farci credere, ma che anche a forza di pressioni mediatiche lo diventerà.
Il sesso non potrà mai essere una realtà neutra, in fondo lo sanno tutti, non lo può negare nessuna saggista americana di moda, nessun giornalista che più o meno consapevolmente collabora a questa battaglia contro l’uomo e contro la sua profonda felicità. In fondo al cuore lo sappiamo tutti che il sesso tocca le corde più profonde del nostro cuore, entra nel nostro sacrario e lo può anche devastare. Il sesso dice qualcosa di definitivo e importante sulla nostra anima, e non mi serviva, a capire questo, la nuova perla di Naomi Wolf, Vagina, A new Biography, appena uscito in America per dimostrare scientificamente la connessione tra il nostro organo sessuale e il cervello (credo che farò a meno dell’acquisto). È talmente vecchio, quello che dice la postfemminista: “le donne in occidente si stanno rendendo conto che la loro sessualità è presa di mira per controllarle e si stanno ribellando”.
A me sembra al contrario che niente e nessuno ci controlli proprio per niente, e che anzi, quello di cui qui in occidente siamo assetati è proprio questo, qualcosa di alto a cui obbedire, che ci custodisca nella sua grandezza, anche quando esploriamo le nostre profondità più segrete, custodite, quasi inaccessibili (e che tali devono rimanere, quindi, niente libro di Naomi Wolf).
Fonte: il blog di Costanza Miriano