Fede ardente e anima digitale. Eccola qui suor Xiskya Lucía, 43 anni, nicaraguense, laurea in filologia, master in giornalismo e una “passionaccia” per il web: tutto al servizio della vocazione. La sua ultima creatura (giugno 2012) si chiama iMision.org, un sito che raccoglie rifllssioni, idee, proposte ed eventi nati “cinguettando” su Twitter.
Suor Xiskya Lucía, com’è nata l’idea di creare iMision?
«Un giorno dialogando via Twitter con un fratello marianista, Daniel Pajuelo, ricevemmo una bordata di insulti e di bestemmie solo perché nei nostri messaggi non nascondevamo il fatto di essere cattolici e religiosi consacrati. Ci siamo così resi conto che i cattolici nella rete avevano bisogno di unirsi, di scambiare esperienze, formazione, per aiutarci nel lavoro di evangelizzione in Internet. Abbiamo sentito la necessità di organizzare un Congresso di twitter cattolici, ma prima occorreva conoscersi e costruire una rete di persone che avessero le stesse inquietudini e sensibilità».
In cosa il vostro sito è diverso rispetto ad altre inizitive simili?
«Credo che la maggior peculiarità sia l’accoglienza di qualsiasi cattolico in qualsiasi stato di vita: laici, religiosi o sacerdoti purché disposti a diventare missionari sulla rete. L’unico requisito è quello di amare la Chiesa come una madre, insegnare con fedeltà il suo Magistero e sentire la chiamata a diventare missionario nella era del web: ciò che noi chiamiamo iMissionero. La seconda caratteristica è la libertà. La rete è libera e riteniamo che si tratti di un’occasione da non perdere. Abbiamo formato una squadra di nove persone per l’organizzazione (laici, religiosi e sacerdoti). C’è poi un secondo gruppo cosiddetto dei “collaboratori”: tutti coloro che si iscrivono on line e che sono disposti a darci una mano. Questo gruppo è informato, via mail, sulle attività settimanali di iMision e sono le prime persone a parteciparvi. Tutti noi usiamo nel nostro nome o nella nostra descrizione su Twitter l’ hashtag #iMision».
Nonostante il sito sia appena nato ci sono già risultati concreti?
«Sì, siamo molto sorpresi per la risposta positiva. Sono quasi 150 le persone che si sono aggiunte come “collaboratori” e tutte ci scrivono con molto entusiasmo. Abbiamo appena lanciato la nostra prima attività: la rassegna delle iniziative pastorali esistenti nella rete. Da lunedì, invece, e per tutto il mese, ci concentreremo nella riflessione su “cosa vuol dire evangelizzare nella rete?”. Prenderemo come spunto alcuni dei punti 59 al 62 del documento “Instrumentus Laboris” per il Sinodo della Nuova Evangelizzazione, molto legati con il nostro progetto iMision. La riflessione si farà soprattutto su Twitter, ma anche su Facebook, per raccogliere le conclusioni nella nostra pagina web. Conclusioni pronte quando comincerà a Roma l’Anno della Fede. Altre attività che porteremo avanti in seguito sono: campagne di preghiera, concorsi, dibattiti, catechesi, scambio di esperienze… Usando, sempre Twitter come canale principale».
Non correte il rischio di far diventare la fede, che è un’esperienza profondamente personale e “carnale”, qualcosa di soltanto “virtuale”?
«Credo che sia un rischio intrinseco alla realtà del web. Ma non è assolutamente quello che vogliamo. Il nostro obiettivo è quello di essere una presenza cattolica nella rete. Ci sono diversi movimenti sociali capaci di esercitare molta influenza on-line, che riescono a muovere gruppi sociali e a trasformare questo fermento in attività nel mondo reale. Noi vogliamo, innanzi tutto, che anche i cattolici abbiano una presenza forte nella rete e, insieme, costruiscano una riflessione su temi religiosi e sociali. L’obiettivo finale di tutto ciò è aiutarci a fare esperienza di Dio, di Cristo come essere vivente, vicino e attuale».
Ci sono stati degli oppositori, dei “troll”?
«I “troll” non si fanno aspettare. Sono comparsi molto in fretta. Dopo tre giorni dall’avvio di iMision abbiamo ricevuto una lettera firmata da un “Belzebù”. Ci invitava a lasciar perdere il progetto e ci spiegava anche il perché: evangelizzare è manipolare, dobbiamo lasciare in pace la gente… Siamo abituati a questo genere di messaggi. Non ci preoccupa. Anzi, quella lettera era un buon segnale: avevamo cominciato con il piede giusto».
Fonte: Vatican Insider