Ieri, mentre cucinavo la quarta torta per la festa delle bambine, indossando uno dei miei più riusciti travestimenti – la brava cuoca – ha suonato alla porta il corriere, e mi ha consegnato la prima copia di Sposala e muori per lei, che, nel caso ci sia tra i lettori qualcuno che ancora non sia stato stressato a sufficienza sull’argomento, è un libro che ho scritto io.
Si troverà in libreria mercoledì prossimo, lo dico per dire, non credo che ci sarà gente a fare la fila davanti alle librerie dalla sera prima come per il nuovo volume di Harry Potter (nel caso ci dovesse essere, chiamatemi: vengo a portarvi personalmente i thermos con il mio famoso caffè, meglio noto in casa, come “con questo c’ammazziamo le cimici”).
Comunque sia, mi sto trovando in questi giorni ad affrontare delle interviste al telefono, in cui mi chiedono di compiere imprese per me improbe, quali essere brillante a voce – impossibile – rapida, sintetica, veloce (le risposte migliori mi vengono tra le tre o le quattro ore dopo la fine del colloquio: ora per esempio vorrei richiamare il giornalista di Libero che mi ha intervistato per il giornale oggi in edicola, ma credo che stia dormendo).
Tra l’altro, se fosse possibile riassumere duecento pagine in poche parole, avrei scritto poche parole, con grande gioia di mio marito, e se fossi brillante e veloce anche mentre compro i quaderni per le figlie (altra intervista di oggi, Zenit), avrei il posto che mi spetta nel mondo. Probabilmente nel caso saprei anche accendere il mio lettore mp3 da corsa senza l’aiuto di un figlio, e, credo, anche fare un pagamento con la carta di credito online senza telefonare a mio marito.
Dunque immagino che sia un mio limite, forse sono io che a parlare sono un po’ rallentata, ma la cosa che mi riesce più difficile spiegare a certi interlocutori (non a tutti, con alcuni ci si capisce al volo) è che io credo fondamentalmente che uomini e donne debbano prima di tutto uscire dalla logica antagonista. È una logica che ormai ci è talmente entrata sotto la pelle, che dimentichiamo che il matrimonio fa partire una vera alleanza tra uomo e donna, i quali entrano in un rapporto leale in cui si parte da un pregiudizio positivo verso l’altro. Qualcosa di molto più profondo e sostanziale della questione di chi lava i piatti.
Le critiche che mi dispiacciono di più non sono quelle delle femministe, ma quelle di chi mi dice “hai ragione, gli uomini bisogna prenderli così, con la dolcezza, te li lisci e poi gli fai fare quello che vuoi”. Quando sento questo mi cadono le braccia, anzi penso che le mie siano braccia rubate all’agricoltura, se neanche con un libro intero sono riuscita a spiegare questa cosa a qualche lettrice (vediamo se ci riesco con queste altre duecento pagine in uscita).
Il vero punto cruciale è che noi il Vangelo dobbiamo cercare di applicarlo prima di tutto in casa. Quando capiamo questo, è fatta. Non con i passanti, i conoscenti, ma prima di tutto con lo sposo, i figli, vale “a chi ti prende il mantello dai anche la tunica”, con loro vale “perdona settanta volte sette”, con loro “portare i pesi gli uni degli altri”. Questo fa uscire dalla logica di prendere ”i tempi e gli spazi per me”, la logica del “mi ha offeso”, “tu non mi apprezzi”, “tu non mi capisci” e fa entrare nella dinamica di un amore che a volte può essere gratuito, faticoso, ma che dà sempre il centuplo quaggiù. È così semplice che non mi riesce di dirlo, al telefono.
Fonte: il blog di Costanza Miriano