Il capo d’anno ebraico che secondo il calendario lunare biblico é il 5773esimo anniversario della creazione del mondo, inizierà la sera di domenica. Durerà due giorni e il suo significato e il suo modo di celebrarlo è molto differente da quello cristiano o cinese. Infatti si tratta dell’apertura di una causa fra creato e Creatore davanti al tribunale celeste.
Davanti ad esso passerà ogni essere vivente per essere giudicato. Verrà stabilita per ciascuno – nazioni incluse – pena o premio. Chi vivrà e chi morirà. Chi si arricchirà e chi si impoverirà, chi soffrirà e chi gioirà” e così via recita il testo della preghiera.
Giudizio non però definitivamente “registrato” il che avverrà solo 10 giorni dopo nel giorno di Kippur, giorno di totale digiuno e di continua preghiera. Per dieci giorni, dedicati all’esame di coscienza, alla richiesta di perdono alle persone offese, all’ammissione dei peccati, viene così offerta la possibilità di ricredersi e ottenere eventualmente, il rinvio o la cancellazione della pena. In altre parole il capo d’anno ebraico non é gioioso e materialistico anche se le tradizioni culinarie lo sono.
Diventa così naturale per i media focalizzarsi su quello che lo Stato degli ebrei, il primo dal tempo della distruzione del Tempio di Gerusalemme (simbolo dell’identità religiosa nazionale) per mano di Tito imperatore nel 70 d.C., ha realizzato o fallito nel suo 63esimo anno di esistenza, con le alte cariche civili, religiose, militari, culturali dello stato che pubblicano in messaggi e interviste il loro punto più o meno sincero sulla situazione e sul loro operato.
Alcuni fatti positivi sono evidenti: la popolazione dello stato ha raggiunto gli 8 milioni , simile a quella svizzera diventando la maggiore comunità ebraica del mondo; l’economia, in pieno sviluppo, é fra le poche non colpita dalla crisi; la moneta é solida, la disoccupazione (7%) in discesa; gli investimenti esteri in crescita, lo spread a 229, le istituzioni democratiche solide e funzionanti nel mezzo delle convulsioni del mondo arabo. Insomma dal tempo dell’esilio di Babilonia mai gli ebrei sono stato meglio nella terra di Israele.
Eppure questa società di immigranti che fanno del loro assorbimento la fonte della sua energia, affronta il nuovo anno turbata. Sul piano politico c’é la delusione per l’incapacità tanto della destra quanto della sinistra di promuovere soluzioni nei confronti del problema palestinese e di una occupazione che rappresenta per la società israeliana un peso morale più grave di quello della sicurezza, anch’esso mai risolto. La minaccia nucleare iraniana condivisa sottobanco con il resto dei paesi arabi della regione, pone il governo di fronte a scelte esistenziali che oltre tutto lo pongono in aperto contrasto con l’attuale amministrazione americana.
Ma il problema più grave che questo paese deve affrontare é quello della propria identità. Come scriveva recentemente l’autorevole demografo israeliano Sergio della Pergola, è difficile parlare di Israele in termini normali. “ Il sionismo storico come strumento della sovranità statale perseguiva due scopi: mantenere l’eccezionalità e conseguire la normalità per il popolo ebraico.E’ possibile conseguire questi due obiettivi antitetici?” si chiedeva della Pergola.
Probabilmente no. Il fatto che lo stato di Israele sia l’unico membro delle Nazioni Unite ad essere minacciato di distruzione, l’unico la cui legittimità é contestata, ne é la prova. L’esame di coscienza che il Capo d’Anno tradizionalmente impone, non é perciò soltanto rivolto alla ricerca di soluzioni di problemi esterni ma sopratutto a quelli interni: cioè chiarire il significato di uno stato ebraico moderno e democratico che non ha “parenti” nel presente come nel passato.
Se é stato difficile per l’Italia definire attraverso molteplici conflitti interni, crolli di regimi, guerre vittoriose e sconfitte cosa significa “fare gli Italiani”, ancora di più lo é per una società in guerra da quasi un secolo, in un paese dalle frontiere non ancora internazionalmente riconosciute. Sono dunque molti i motivi di orgoglio, di ripensamento e di umiltà in questa società traboccante di energia e allo stesso tempo così bisognosa di quiete; così legata alle tradizioni e così appassionatamente moderna e innovatrice.
Se i pronostici sono al tempo stesso realistici e messianici, l’unica cosa certa é che anche nel prossimo anno si continuerà ad odiare o amare Israele. Ma restarne indifferenti, impossibile.
Vittorio Dan Segre
Fonte: Il Giornale