C’è un’audacia delle uscite nel mondo di Benedetto XVI che è figlia naturale di quella leggendaria di Giovanni Paolo II: oggi il Papa teologo parte per il Libano mentre lì accanto la Siria è da mesi un vulcano in eruzione e tutto intorno nelle ultime ore ribollono – scosse dagli assalti alle ambasciate americane – le capitali di vari paesi, dall’Egitto allo Yemen.
E’ il 24° viaggio di Papa Ratzinger fuori d’Italia ed è la sua prima missione in un paese arabo da quando laggiù è esplosa la “primavera” dei rivolgimenti politici; missione preparata da tempo ma che viene a cadere – per gioco della sorte o della Provvidenza – nei giorni in cui la strage di Bengasi provoca un infausto rilancio della presenza americana in quell’area e accentua la fuga degli occidentali.
Il viaggio – pensato come tappa conclusiva del Sinodo per il Medio Oriente, che si fece a Roma nell’ottobre del 2010 – non è stato mai messo in dubbio per ragioni di sicurezza, hanno detto il portavoce vaticano Lombardi e il segretario di Stato cardinale Bertone. Anzi: «le tensioni crescenti hanno reso ancora più urgente il desiderio del Papa di visitare il Paese» (Bertone), tanto più che “tutte le comunità presenti in Libano, e persino Hezbollah, hanno fatto sapere di attendere con piacere il Papa e il suo messaggio di pace” (Lombardi).
Qui troviamo un primo significato di questa trasferta papale di tre giorni: tra tante incognite e neri presagi, registriamo ancora una volta la tenuta della tenacia apostolica di Papa Benedetto e della sua missione di pace. “Pax vobis” è il motto del viaggio e non se ne poteva trovare uno meglio rispondente.
Conviene anche prendere nota di una costante del segno del sangue su ognuna delle missioni benedettiane in Medio Oriente: questa è la quarta, dopo la visita in Turchia del 2006, quella in Terra Santa del 2009, quella a Cipro del 2010. In Turchia Benedetto andò tra le polemiche seguite alla “lectio” di Regensburg e al culmine di una stagione di frequenti uccisioni di cristiani, tra i quali il prete romano Andrea Santoro. Il viaggio in Terra Santa avvenne all’indomani dell’ultima offensiva israeliana su Gaza. Quello nella Cipro greco-turca fu segnato, alla vigilia, dall’uccisione in Turchia di Mons. Luigi Padovese, presidente dei vescovi cattolici del Paese e arcivescovo dell’Anatolia, che stava partendo proprio per partecipare – a Nicosia – all’incontro con il Papa.
Che frutto potrà dare la nuova missione del profeta disarmato? «La visita di Benedetto XVI avrà sicuramente un forte impatto sui media e l’opinione pubblica del mondo arabo» dice il francescano Pierbattista Pizzaballa, custode di Terra Santa, convinto che «il viaggio contribuirà a un’attitudine più positiva nei confronti dei cristiani e della Chiesa non solo in Libano, ma in tutto il Medio Oriente». E’ fiducioso nell’effetto della presenza papale anche il cardinale italo-argentino Leonardo Sandri, che accompagna il Papa in qualità di prefetto della Congregazione per le Chiese orientali: “Tutti potranno vedere – dalle celebrazioni e dalle folle che si riuniranno – che la presenza del Papa non è una presenza di potere, di forza, ma è una presenza di amore, di dialogo, di saper ascoltare e di saper stare insieme”.
Il Papa svolgerà la sua missione di pace con la dedizione che gli conosciamo, ma il terreno su cui cadrà la sua parola è fortemente compromesso. Il Patriarca maronita libanese Bechara Rai ne dà questa descrizione politica: “Il Libano è oggi trascinato nella divisione tra i siriani. In genere, i sunniti libanesi con i loro alleati cristiani sostengono l’opposizione siriana, mentre gli sciiti, con i loro alleati, sostengono il regime. Si è creata, inoltre, una certa tensione tra sunniti e alawiti libanesi. Purtroppo, poi, il Libano è utilizzato da certi paesi arabi quale luogo di transito per armi e aiuti finanziari destinati sia al regime di Damasco che all’opposizione”.
Pur tra tante difficoltà, il Libano è comunque l’unico Paese medio-orientale dove la parola del Papa può trovare realisticamente una qualche risonanza. “Questa – argomenta il cardinale Jean-Louis Tauran, presidente del Consiglio per il dialogo interreligioso – è la sola nazione della regione nella quale i cristiani partecipano all’esecutivo. Il Papa ricorderà dei principi: la dignità della persona umana, le esigenze del diritto internazionale, il rispetto di criteri etici. Affermerà che è necessario fare in modo che la forza della legge prevalga sulla legge della forza”.
Che dirà Benedetto, da Beirut, sulla Siria? In risposta a questa domanda il cardinale Bertone ha ricordato che «la Santa Sede fin dall’inizio della vicenda siriana chiede l’immediata cessazione di ogni violenza per far prevalere il dialogo ed evitare ulteriori sofferenze alla popolazione». E’ una posizione neutrale considerata debole e “diplomatica” sia dalle Chiese siriane, comprese le componenti cattoliche, che sono schierate a difesa del regime di Assad; sia dai cristiani favorevoli all’opposizione, tra i quali c’è il notissimo gesuita romano Paolo Dall’Oglio costretto qualche mese addietro a lasciare la Siria dopo trent’anni di presenza. Si rimprovera alla Santa Sede di considerare “legittime” le “aspirazioni” della popolazione che si esprimono nell’opposizione al regime senza misconoscere – almeno fino a questo momento – la legittimità del regime di Assad.
Ultimamente il maggiore esperto vaticano della materia, il padre comboniano Miguel Ángel Ayuso Guixot, segretario del Consiglio per il dialogo interreligioso, durante una conferenza a Istanbul sul “risveglio arabo” ha riassunto in cinque punti la posizione della Santa Sede: cessazione immediata delle violenze da parte di tutti gli attori in gioco; dialogo come percorso necessario per “rispondere alle legittime aspirazioni del popolo siriano”; riaffermazione del principio dell’unità del Paese “a prescindere da affiliazioni etniche e religiose”; richiesta alla Siria, in quanto “membro alla famiglia delle nazioni”, di “riconoscere le legittime preoccupazioni della comunità internazionale”; infine, appello alla comunità internazionale perché si “dedichi al processo di pace in Siria e nell’intera regione”.
In vaticano – come ovunque – la primavera araba ha sollevato speranze e timori tra loro mescolati. Da una parte c’è la paura dello scatenamento del fondamentalismo musulmano non più tenuto a freno dai governi autoritari cacciati dai rivoltosi, dall’altra c’è la speranza che abbiano ad affermarsi – al loro posto – dei regimi democratici. Per una lettura fiduciosa propende il custode di Terra Santa Pizzaballa: «Molti degli argomenti discussi due anni addietro nel Sinodo per il Medio Oriente, primo fra tutti il diritto dei cristiani a una piena cittadinanza, sono entrati ormai nell’agenda di diversi Paesi. Ad esempio l’Egitto».
Anche il prudentissimo padre Ayuso Guixot segnala che le prime elezioni seguite alla “primavera” hanno portato – in Marocco, Tunisia, Egitto – alla vittoria di partiti islamici che “adottano il linguaggio del pragmatismo e della moderazione”. Ed ecco dunque che, di fronte a questi risultati, anche all’interno della Santa Sede c’è chi prende coraggio e mette l’accento sulla necessità di coltivare una “cultura della democrazia” che impedisca l’affermarsi di una “forma deteriore di governo della maggioranza” che soffoca i diritti delle minoranze.
Il Papa va anche a incoraggiare i cristiani del Medio Oriente e di tutto il mondo arabo perché non cedano alla tentazione di abbandonare i loro paesi: questo appello era nelle conclusioni del Sinodo e di sicuro tornerà a risuonare sulla bocca del Papa in questi tre giorni. Intervistato da “Le Figaro” il cardinale Bertone invita a non generalizzare e a non drammatizzare: «Non bisogna dimenticare che la prima motivazione [dell’abbandono] è spesso economica e sociale», ed è «legata all’instabilità» provocata dalle guerre mentre al contrario «quando il contesto sociale e culturale è favorevole» anche nei paesi musulmani i cristiani si mobilitano per «costruire una società in cui ognuno abbia il suo posto, indipendentemente dalla religione di appartenenza».
Il padre Pizzaballa concorda con l’opportunità di evitare gli allarmismi: «Da oltre mezzo secolo, nelle interviste ai prelati mediorientali si legge la stessa dichiarazione: stiamo scomparendo. E’ vero, la nostra comunità si riduce, mentre le altre crescono. Ma noi non scompariremo».
Benedetto sarà a Beirut oggi nel primo pomeriggio. La cerimonia di benvenuto si svolgerà nell’aeroporto Rafiq Hariri, che prende il nome dal premier assassinato il 14 febbraio del 2005: lì il Papa pronuncerà il primo degli otto discorsi. A sera, nella chiesa di San Paolo ad Harissa, firmerà l’esortazione apostolica “La Chiesa in Medio Oriente” che domenica consegnerà ai vescovi della regione e che contiene le conclusioni del Sinodo del 2010.
Domani in Libano sarà festa nazionale in omaggio all’ospite che in mattinata incontrerà il presidente della Repubblica, il primo ministro e il presidente del Parlamento. Già questi incontri costituiranno per Papa Ratzinger una full immersion nel carattere multietnico e multireligioso del Paese, perché il presidente Michel Suleiman è un cristiano maronita, il premier Najib Mikati è un musulmano sunnita e il presidente dell’Assemblea dei deputati Nabih Berri è un musulmano sciita.
Nel palazzo presidenziale di Baabda il Papa terrà uno dei discorsi più importanti, rivolgendosi ai capi delle quattro principali comunità musulmane (sunniti, sciiti, drusi, alawiti), ai rappresentanti delle Chiese cristiane che sono ancora più frazionate, ai membri del Governo, al corpo diplomatico, ai rappresentanti del mondo delle istituzioni e della cultura. Gli esperti stimano che oggi i libanesi siano per il 60% circa musulmani e per il restante 40% cristiani. La seconda giornata papale si concluderà con l’incontro con i giovani nel piazzale del Patriarcato maronita di Bkerké. Domenica una grande celebrazione in una spianata di fronte al mare, al centro di Beirut, concluderà la visita.
Fonte: il blog di Luigi Accattoli