Il mondo musulmano è in fiamme, la rabbia dilaga: migliaia di islamici sono scesi in piazza oggi dal Nord Africa al Sud-Est asiatico, nel primo venerdì di preghiera dopo la messa in rete su Youtube di un offensivo film su Maometto, costato la vita all’ambasciatore americano in Libia, morto martedì notte insieme a tre connazionali. Sono state attaccate le ambasciate Usa un po’ ovunque e le sedi diplomatiche tedesca e britannica in Sudan.
Proprio qui ci sono stati tre dei sette morti rimasti sul terreno negli scontri – in alcuni casi violentissimi, in altri più blandi – con le forze di sicurezza intervenute a impedire saccheggi e vandalismi e a fermare gli assalti con ampio uso di gas lacrimogeni e idranti, ma anche sparando ad altezza d’uomo. In Tunisia vi sono state altre due vittime e una trentina di feriti, alcuni in gravissime condizioni. E poi un giovane ha perso la vita al Cairo, in Egitto, mentre nella Tripoli libanese una persona è stata uccisa nel giorno in cui papa Benedetto XVI, in visita nella capitale Beirut, chiedeva il trionfo della pace e dell’amore sulla guerra e sull’odio.
A Khartoum, in SUDAN, l’ambasciata tedesca è stata temporaneamente invasa da alcune decine di dimostranti che sono anche riusciti a strappare la bandiera tedesca, mentre la grande massa è stata bloccata all’esterno e si è poi avviata, in una marcia furiosa, verso la sede diplomatica statunitense. In diecimila si sono riversati verso il compound senza però riuscire a sfondare. E anche i britannici sono riusciti a difendere i loro edifici, bloccando a distanza i fondamentalisti che agitavano i vessilli neri dell’integralismo e bruciavano – al grido di ‘Allah Akhbar’ – le bandiere americane e israeliane.
L’altro Paese pesantemente coinvolto nelle rabbiose manifestazioni di oggi è stata la TUNISIA. Anche qui giovani inferociti sono riusciti a penetrare oltre la cinta muraria dell’ambasciata Usa, nonostante le forze di sicurezza sparassero anche ad altezza d’uomo. Sono stati respinti solo dopo alcune ore lasciando sul terreno decine di feriti, due dei quali sono poi morti in ospedale. Nel frattempo, anche la scuola americana a Tunisi era stata incendiata e gravemente danneggiata.
Difficile anche la situazione al Cairo, benché i Fratelli musulmani del presidente Mohamed Morsi avessero ritirato un loro precedente appello a scendere in piazza in tutto l’EGITTO. Centinaia di persone hanno continuato per tutta la giornata a fronteggiare la polizia, schierata massicciamente a protezione dell’ambasciata americana. E in serata è stato trovato nei pressi di una moschea il cadavere di un giovane.
In LIBANO l’uomo ucciso dalle forze di sicurezza aveva dato l’assalto a un fast food americano a Tripoli, seconda città del Paese. Anche qui i feriti sono stati una trentina. In difficoltà, dopo i quattro morti di ieri, anche le autorità yemenite che a Sanaa sono nuovamente intervenute in forze con lacrimogeni e idranti, riuscendo a tenere i manifestanti a circa 500 metri dalla sede diplomatica Usa. La situazione è però molto pesante, tant’é che Washington, dopo aver inviato marines e droni a Bengasi in Libia, ha comunicato l’invio di altri marines a protezione delle installazioni occidentali nella capitale yemenita.
Ma i Paesi che hanno visto oggi gli Stati Uniti sotto attacco con dimostrazioni di massa ‘globali’ sono stati veramente molti. In IRAN migliaia di persone si sono radunate a Teheran al grido di ‘Morte all’Americà e ‘Morte a Israele’; in IRAQ altre migliaia di musulmani hanno sfilato a Bassora scandendo ‘Non c’é libertà quando si offendono un miliardo di musulmanì. Il continente Africa ha registrato altre dimostrazioni in MAROCCO, MAURITANIA, KENYA e NIGERIA ma qui le forze di sicurezza hanno mantenuto con decisione il controllo delle situazioni più a rischio. Fino all’ALGERIA, dove il governo ha tagliato alla radice il problema, vietando e impedendo qualunque tipo di assembramento. In Asia, dopo l’IRAN la protesta più imponente ha visto diecimila persone in piazza a Dacca, in BANGLADESH: anche qui bandiere americane e israeliane bruciate oltre a slogan rabbiosi contro “gli insulti al nostro grande profeta”. Come in numerose città del PAKISTAN, a Giakarta in INDONESIA o in INDIA, a Madras, dove 86 persone sono state arrestate mentre marciavano verso il consolato Usa, e in AFGHANISTAN.
Gli Stati Uniti assicureranno alla giustizia i responsabili di tutti gli attacchi contro di loro. E’ il monito che il presidente Barack Obama ha lanciato nel discorso funebre tenuto dinanzi alle bare dei quattro caduti americani dell’assalto di martedì contro il consolato americano di Bengasi (Libia) di martedì. “Tutti i governi – ha poi avvertito Obama – sono obbligati a proteggere i nostri diplomatici nei loro Paesi”.
Anche l’ambasciatore degli Stati Uniti a Tunisi, Jacob Walles, è tra gli americani fatti evacuare in seguito all’assalto dei manifestanti. Secondo radio Shems, a garantire la sicurezza del diplomatico, così come del resto del personale dell’ambasciata, é stata la Brigata anti-terrorismo.
Fonte: Ansa