Tradizionalmente nel mese di maggio la Chiesa cattolica venera in modo particolare la Madre di Dio con la recita dell’Ave Maria e del Rosario, per cui vediamo brevemente come sono nate queste due preghiere mariane. Sappiamo da fonti storiche che nella Chiesa occidentale il saluto dell’Ave è stato introdotto nel VI secolo, si trattava però solo della prima parte di tale preghiera, quella evangelica, dove sono armonizzati il saluto angelico (Lc 1,28) e la benedizione di Elisabetta (Lc 1,42).
La seconda parte con l’invocazione, in varie forme, è attestata a partire dal XIV e XV secolo in Italia e il più antico testimone della formulazione completa dell’Ave Maria si trova nel libro di preghiere del beato Antonio da Stroncone (1381-1461) che era un francescano umbro. Il testo è conservato nella chiesa di San Damiano in Assisi. Sarà poi il Concilio di Trento (1545-1563) a confermare che questa parte è stata composta dalla Chiesa stessa stabilendone il principio teologico e il culto di Maria Madre di Dio.
La scelta di dedicare alla S. Vergine il mese di maggio fu di Alcuino, un monaco benedettino irlandese vissuto nella seconda metà del secolo VIII d.C., che introdusse nel giorno di sabato una Messa dedicata a Maria. Perciò dalla seconda metà del 700 in poi il sabato è il giorno liturgico dedicato alla Madonna in quanto “porta” della domenica.
L’origine del Rosario invece si può collocare intorno al IX secolo nei monasteri d’Irlanda, dove i monaci praticavano la recita dei 150 Salmi di Davide. Per dar modo di pregare ai numerosi laici che non sapevano leggere né scrivere nacque la recita di 150 Pater Noster.
Tre secoli dopo al posto del Pater Noster si iniziò a recitare il Saluto Angelico (cioè il saluto di S. Elisabetta alla vista della S. Vergine in attesa di Gesù) trasformando il Salterio biblico in un “salterio mariano”, che venne poi chiamato “rosario”.
Verso la metà del XIV secolo, un monaco della certosa di Colonia, Enrico Kalkar, introdusse prima di ogni decina alla Madonna, il Padre Nostro. Questo metodo si diffuse rapidamente in tutta Europa.
La preghiera poi del Salve Regina poi fu composta mille anni fa da un monaco tedesco chiamato Ermanno di Reichenau (1013-1054), detto lo storpio perché aveva impedimenti fisici tali da aver problemi anche a star seduto, tuttavia eccelse in astronomia, matematica, storia, musica e liturgia, lasciando preziosi scritti in tutti i campi.
Le prime pratiche devozionali, legate in qualche modo al mese di maggio, risalgono però al XVI secolo e in particolare a S. Filippo Neri, che insegnava ai suoi giovani a circondare di fiori l’immagine della Madre, a cantare le sue lodi e ad offrire atti di mortificazione in suo onore.
Ma il primo grande diffusore della devozione al Rosario della Vergine Maria fu San Domenico di Guzmàn, fondatore dell’omonimo ordine religioso, vissuto tra il XII e il XIII secolo (1170-1221) che, con il preciso intento di far meditare sulla vita di Gesù, introdusse la recita di 150 Ave Maria e quindici Pater noster. E proprio San Domenico sperimentò la potenza del Rosario quando fu catturato dai pirati sulle coste della Spagna, e soprattutto quando, nella crociata promossa dal Papa contro gli eretici Albigesi, armò del rosario diecimila uomini che vinsero contro un esercito molto più numeroso.
Tale fatto destò impressione in tutto il mondo e si riconobbe che la vittoria era dovuta alla forza del Santissimo Rosario. Va aggiunto poi che S. Domenico per mezzo di questa preghiera convertì più di cento mila tra eretici, pubblici peccatori e celebri meretrici, come si legge nelle cronache che si riferiscono della sua missione.
Un suo biografo domenicano, il beato Alain de La Roche, conosciuto in Italia come il Alano della Rupe (1428-1475), ridusse a 15 i Misteri (suddivisi in gaudiosi, dolorosi, gloriosi) e nelle sue opere oltre a ricostruire la genesi del rosario, i suoi significati mistici e teologici, e gli effetti di grazia per i suoi devoti, riferisce le sue visioni di Gesù e della S. Vergine, che gli fecero vedere gli angeli suonare strumenti quasi a forma di Rosario e cantare “Ave Maria” ed un altro coro rispondere “Benedicta tu in mulieribus”.
Gli spiriti celesti offrivano il Rosario alla Vergine in gruppi di 150 per volta. Uno di loro gli disse: “Questo numero è sacro. E’ presente nell’arca di Noé, nel tabernacolo di Mosé, nel tempio di Salomone, nei salmi di David, nei quali sono raffigurati Cristo e Maria. Con questo numero si compiace Dio di essere lodato, e affinché tu predichi il Rosario il Signore ha voluto farti constatare quanto gli sia gradito.”
Lo avvertì poi che era necessario predicare al mondo questa devozione, perché tanti erano i mali che lo sovrastavano, ma quanti avessero lodato Iddio in quel modo ne avrebbero avuto grande giovamento; mentre coloro che lo avessero disprezzato sarebbero stati colpiti da calamità.
Vide ancora che i castighi minacciati al mondo erano dovuti ai tre vizi capitali: lascivia, avarizia, superbia. A tali vizi era rimedio il Rosario. Vide poi la SS. Trinità incoronare Maria Imperatrice del Cielo, la quale gli disse: “Predica quanto hai visto e sentito. E non temere perché io sarò sempre con te e con tutti i devoti del mio Rosario”. Ed egli incominciò a predicare questa devozione, ottenendo ovunque grandi frutti spirituali.
Tutte le promesse fatte dalla Madonna ai devoti del suo Rosario, che spesso leggiamo senza conoscerne la fonte, provengono dalle visioni e dagli scritti del beato Alano.
La storia della Chiesa è ricca di testimonianze sulla potenza del Rosario, sia quando pregato pubblicamente per sventare calamità e sciagure sia per le grazie private. Di particolare rilievo è la vittoria sui turchi ottomani ottenuta il 7 ottobre 1571 grazie ai Rosari, recitati e fatti recitare, dal santo Pontefice Pio V prima della battaglia di Lepanto, talché per ringraziamento stabilì il 7 ottobre festa di Nostra Signora della Vittoria, che Gregorio XIII trasformerà in festa della Madonna del Rosario, aggiungendo alle litanie lauretane l’invocazione Auxilium Christianorum.
Val la pena riportare le testimonianze di coloro che parteciparono alla battaglia: “Quando le flotte giunsero a tiro di cannone i cristiani ammainarono tutte le loro bandiere e Giovanni (D’Austria) innalzò lo stendardo con l’immagine del Redentore crocifisso. Una croce venne levata su ogni galea e i combattenti ricevettero l’assoluzione secondo l’indulgenza concessa da Pio V per la crociata. Il vento improvvisamente cambiò direzione. Le vele dei Turchi si afflosciarono e quelle dei cristiani si gonfiarono. Giovanni d’Austria puntò diritto contro la Sultana. Il reggimento di Sardegna diede l’arrembaggio alla nave turca che divenne il campo di battaglia. I musulmani a poppa e i cristiani a prua. Al terzo assalto i sardi arrivarono a poppa. Giovanni venne ferito ad una gamba. Mehmet Alì Pascià venne ucciso da un colpo di archibugio. La Sultana si arrese. […] Alle 4 del pomeriggio i Turchi erano stati completamente sconfitti. I pochi superstiti si ritirarono verso l’interno del golfo.”
Ma anche alcuni religiosi, devoti del Rosario, ottennero una salvezza neanche richiesta ma ottenuta per la costanza della loro preghiera. Il 6 agosto, giorno in cui la Chiesa commemora la Trasfigurazione di Nostro Signore sul Monte Tabor, in un lunedì del 1945, alle 8.15 del mattino, un aereo americano lasciò cadere una bomba atomica sopra la città di Hiroshima, in Giappone.
Esplose con un lampo accecante, creando una gigantesca palla di fuoco che vaporizzò praticamente tutto e tutti entro un raggio di circa un chilometro e mezzo del punto di impatto. Si stima che circa 80.000 persone vennero uccise direttamente dall’esplosione ed entro la fine dell’anno la cifra era divenuta notevolmente più elevata a causa degli effetti delle radiazioni. Oltre due terzi degli edifici della città furono completamente distrutti.
Ma in mezzo a questa terribile carneficina, accadde qualcosa di straordinario: c’era una piccola comunità di Padri Gesuiti che viveva in un presbiterio vicino alla chiesa parrocchiale, situata dentro il raggio della devastazione generale. Tutti gli otto membri della comunità scamparono, praticamente indenni, dagli effetti della bomba. Il loro presbiterio rimase in piedi, mentre gli edifici intorno, quasi a perdita d’occhio, furono appiattiti.
Hubert Schiffer, un gesuita tedesco, era uno di quei sopravvissuti, e questa è la sua testimonianza: “Siamo sopravvissuti perché stavamo vivendo il messaggio di Fatima. In quella casa abbiamo vissuto e pregato il Rosario tutti i giorni”.
Non solo pontefici e religiosi devoti del rosario, ma anche le famiglie che recitano con costanza la preghiera gradita a Gesù e a sua Madre hanno sempre ottenuto protezione e salvezza.
Eccone una testimonianza della cui veridicità ho certezza personale. Il 23 marzo 1944, in piena seconda guerra mondiale, a Roma, in via Rasella, i partigiani fecero esplodere una bomba che uccise un plotone di 32 soldati tedeschi, ben sapendo che la rappresaglia sarebbe stata di dieci italiani giustiziati per ogni nazista morto. Immediatamente scattò la ritorsione e vennero arrestati tutti gli uomini che si trovarono inconsapevolmente a passare da lì e dalle strade adiacenti.
Insieme ad altri, prelevati dalle carceri, il giorno seguente presso le Fosse Ardeatine, antiche cave di pozzolana, verranno uccisi 335 innocenti, quindici più del pattuito.
Viveva in quella città una giovane coppia di sposi, credenti e praticanti, con un figlio di tre anni, i quali tutte le sere, quando suonava l’allarme e iniziava l’oscuramento, si mettevano a recitare il rosario accanto alla culla del loro piccolo. Il marito lavorava in un ufficio nei pressi del luogo dell’attentato, ma quel giorno non aveva udito nulla, così che ad ora di pranzo uscì come al solito per recarsi a casa, poco distante da lì. Avrebbe dovuto passare per via del Corso, proprio dove i tedeschi stavano conducendo il rastrellamento e lui, giovane di bell’aspetto, più alto della media degli uomini della sua generazione, elegantemente vestito e in ottima salute, sarebbe stato sicuramente notato e arrestato.
La grazia di Dio volle che appena uscito dal portone incontrò un amico che non vedeva da tempo. Si misero a chiacchierare così che decise di accompagnarlo a casa prendendo il tram con lui, che abitava in un’altra zona della città. Rientrò per il pranzo con un po’ di ritardo trovando in grande apprensione la moglie, che nel frattempo era stata avvertita di quanto stava accadendo da un parente, ufficiale dell’esercito, che si era precipitato a casa loro per sapere se fosse tornato. Lui rincasò tranquillo e pacifico: non si era accorto di nulla.
Due parole sulla preghiera del Rosario come atto in sé. Alcuni ritengono che la recita delle Ave Maria siano ripetitive e noiose, che ciò induca alla distrazione e non produca edificazione dell’anima. Nel suo libro Dialogo della Divina Provvidenza S. Caterina da Siena, terziaria domenicana dichiarata dottore della Chiesa, riferisce l’insegnamento che il Signore stesso le dette riguardo alla noia del pregare: “Spesse volte il demonio provoca conflitti e procura molestie nel tempo destinato all’orazione ancor più che nei momenti in cui la persona non sta pregando. […] La preghiera – spiega il Signore – è un’arma con la quale l’anima si difende da ogni avversario: quest’arma va tenuta con la mano dell’amore e col braccio del libero arbitrio, per farsene difesa col lume della santissima fede.’
“Io so bene – le dice – che come l’anima dapprima è imperfetta e poi perfetta, similmente, all’inizio, è imperfetta la sua orazione, pertanto si userà l’orazione vocale per non cadere nell’ozio. Ma non deve essere fatta preghiera vocale senza quella mentale. Ossia, mentre la persona pronuncia le parole delle preghiere, deve sforzarsi di levare e indirizzare la sua mente all’affetto per me, considerando le sue manchevolezze in generale e il sangue del mio Figlio unigenito, dove essa trova l’abbondanza della mia carità e la remissione dei suoi peccati: affinché la conoscenza di sé e la considerazione dei suoi difetti le facciano conoscere la mia Bontà in sé e le consentano di proseguire nel suo esercizio con vera umiltà”
Perciò, per ottenere dalla recita del santo Rosario il massimo dei frutti spirituali e materiali, occorre che l’anima si innalzi a contemplare, adorare e ringraziare Dio, senza cercare altro che il suo amore e la sua gloria.
Paola de Lillo