Maturità

Oggi iniziano le prove di maturità per gli studenti che hanno terminato il ciclo di studi della scuola media superiore. Se non ci avessero avvertito i tg nemmeno lo sapremmo e credo che alla gran parte degli italiani il fatto lasci del tutto indifferente, salvo magari coloro che, avendola superata molti anni fa, sono tornati per un attimo al ricordo della loro. Ma è davvero ininfluente per la vita della Nazione questa prova?

Torniamo indietro di molti anni, quando i quotidiani ne davano un grande rilievo, gli intellettuali si prodigavano in raccomandazioni e ricordi della loro generazione e i giornali della sera, cioè quelli che uscivano di pomeriggio, pubblicavano puntualmente la traduzione dei testi di latino e di greco e la risoluzione della prova di matematica. Noi si correva a comprarli per verificare di non aver cannato miseramente, perché una costruzione (latina o greca) mal compresa poteva far cambiare il senso a tutto lo scritto.

Sostenevamo gli esami di tredici materie, compresa Educazione fisica, e al liceo classico portavamo gli autori degli ultimi tre anni, tant’è che iniziavamo i ripassi a gennaio perché non sapevi quale opera avresti dovuto tradurre a vista. Potevano aprire a caso il Crizia di Platone, oppure domandarti la differenza tra le Egloghe e le Georgiche di Virgilio.

Iniziavamo le prove scritte ai primi di luglio, finite le quali si passava agli orali con una sosta di una settimana o più, cosicché si terminava a fine mese, alla vigilia della tanto sospirata vacanza estiva, per chi se la poteva permettere.

Certo, parliamo degli anni precedenti al ’68, prima della riforma della scuola, quando si decise di semplificare, ammorbidire, facilitare, praticamente abbassare il livello degli studi e delle conoscenze, per arrivare al minimo dei tempi odierni. E la pandemia non c’entra nulla perché il processo di svilimento della cultura è partito, lentamente e inesorabilmente,  cinquant’anni fa.

Sarebbe un inutile  dispendio di energie mentali il ripercorrere l’ingloriosa storia della scuola italiana partendo dalla famigerata Lettera ad una professoressa di quel discutibile personaggio che fu Don Lorenzo Milani, il quale si fece promotore di un diploma di terza media regalato a tutti coloro che volessero prenderlo – restando  comunque analfabeti – perché per lui era più importante saper zappare i campi che conoscere il latino o, semplicemente, un buon italiano.

Fu preso sul serio e il risultato fu tale per cui, anziché alzare il livello culturale delle classi meno abbienti, man mano venne abbassato quello di tutti.  E non sono la sola a pensarla così (qui e qui)

Se poi fosse eticamente corretto dare lo stesso titolo di studio  a coloro che lo avevano guadagnato con profitto e a coloro che a malapena avevano imparato a leggere e scrivere sarà Dio a giudicarlo. Certo è che le disuguaglianze sociali non si superano riducendo i contenuti e le difficoltà delle varie discipline scolastiche per renderle digeribili a chiunque. Perché abbiamo in Italia imprenditori in ogni campo che non sono andati all’università ma che hanno  un buon tenore di vita e sono le colonne della nostra economia.

Oggi è la nostra gloriosa cultura ad essere disertata. Chiusi i libri scolastici nessun diplomato approfondisce quello che ha studiato e le poche librerie, sopravvissute negli anni all’incalzare dell’ignoranza, pur di sopravvivere vendono di tutto, persino il caffè. Ma la differenza intellettuale tra coloro che per appartenenza familiare o doti personali amano lo studio e la lettura e coloro che, con fatica e stenti, hanno raggiunto quello che ad oggi è un diplomino è sempre più abissale.

E di questi ultimi i più, non avendo imparato un mestiere, saranno alla ricerca di una collocazione sociale, magari costituiranno la classe dirigente di domani o diverranno i nostri governanti, cioè coloro che decideranno del nostro vivere senza tuttavia possedere strumenti conoscitivi in alcun campo.

Aveva ragione Orwell? Stiamo vivendo giorni che pensavamo non sarebbero mai arrivati?
 
Paola de Lillo