Coronavirus. Ora tocca a noi cattolici fare la nostra parte.

Da oggi in Italia scatta il coprifuoco totale per tutti coloro che non rientrano nelle categorie di lavoratori indispensabili alla società e chi deve uscire di casa per necessità indifferibili deve avere con sé l’autocertificazione sulla ragione del suo spostamento (qui), ovviamente tra le esigenze primarie non è contemplato il recarsi in chiesa, com’era da aspettarselo. Le notizie poi che, in continuo, arrivano dai media sono angoscianti e l’impossibilità di vedere i propri cari, parenti o amici che siano, aumenta il senso di disorientamento personale e collettivo.

Ce ne sarebbe da dire per tutti, ma non è ancora arrivato il momento dei bilanci e delle polemiche, ora è il tempo di agire. Adesso dobbiamo chiederci cosa vuole il Signore da ognuno di noi, perché siamo sottoposti anche a una prova personale. Gesù ci ha invitato a sforzarci di passare per la porta stretta prima che il Padrone la chiuda e noi restiamo per sempre fuori (Lc 13, 24-25; Mt 7, 13-14).

Ma nessuno di coloro che ci hanno detto genericamente pregate, ci ha poi dato le indicazioni su come farlo e quali preghiere prediligere, perciò siamo pecore autoreferenziali affidate alla nostra buona volontà. Sappiamo però che il Signore ha detto: “Per questo ogni scriba divenuto discepolo del regno dei cieli è simile a un padrone di casa che estrae dal suo tesoro cose nuove e cose antiche”. (Mt 13, 52)

Orbene, consapevole di perdere un merito che, forse, mi sono guadagnata davanti a Dio per un’opera di carità spirituale compiuta molti anni fa, metto a vostra disposizione il racconto di una mia esperienza per invitare tutti a imitarla a favore di coloro che stanno morendo in maniera atroce.

Questi i fatti. Una mia collega, ostinatamente atea ma che gradiva confidarmi sempre gli avvenimenti della sua vita, un giorno mi raccontò che una sua amica, da tempo malata e di cui mi parlava spesso, era entrata in coma e che il marito medico l’aveva portata a casa per farla morire nel suo letto. Nel riferirmelo era molto afflitta e non potei far altro che domandarle se quella donna fosse credente. Mi rispose, animandosi, che era un’osservante molto pia come tutta la sua famiglia. Dopodiché tornai al mio lavoro, che era sempre pressantissimo, e non ebbi più nemmeno il tempo di rifletterci.

La sera di quel giorno mi ridussi a recitare le mie preghiere molto tardi e le terminai oltre la mezzanotte. Ero sfinita quando mi venne in mente quella poveretta e, dopo un veloce combattimento interiore, temendo di non far in tempo e poi pentirmene, tirai fuori qualche residua energia e recitai per lei la Coroncina della Divina Misericordia ponendomi spiritualmente accanto a lei, di cui non ricordavo il nome ma invocando ugualmente Gesù perché l’accogliesse nel Suo Regno.

Crollai dal sonno e me ne dimenticai completamente. Quando giorni dopo incontrai di nuovo la collega le chiesi notizie della sua amica. “E’ morta – mi disse – e abbiamo già anche fatto il funerale. E’ accaduto un fatto strano, – aggiunse –  si è improvvisamente svegliata dal coma e ha chiesto alle due figlie che l’assistevano di  recitare con lei il rosario, terminato il quale è spirata.”

Inutile specificare che il giorno e l’ora coincidevano perfettamente.

Se non possiamo fare nulla di materiale per aiutare i nostri fratelli colpiti dalla malattia possiamo però impetrare la Misericordia di Dio per loro, come aveva promesso Gesù a Santa Faustina Kowalska (qui). Noi siamo, e giustamente, abituati a pregare per le persone che conosciamo e ora anche per noi stessi affinché il Signore ci scampi tutti, ma avremo maggior merito se compiremo quest’opera di carità spirituale a favore di chi nemmeno conosciamo.

Prendiamo tutti l’impegno, magari più volte al giorno, di recitare la coroncina della Divina Misericordia per tutti coloro che, per qualsiasi patologia, stanno per rendere l’anima privi di ogni conforto religioso e affettivo. Li conosceremo, si spera, in Cielo.

 

Paola de Lillo