Tra tutti i mème che ieri sono circolati sullo schiaffo del Papa alla pellegrina orientale, il più simpatico è sicuramente quello che fa il verso a Mario Brega: “Sta mano po’ esse fero e po’ esse piuma. Oggi è stata fero”. Oppure quello di uno stordito Kim Jong Il, pronto a scatenare una guerra, domandarsi: “Chi ha schiaffeggiato mia zia?”. Certo, ha chiesto scusa ammettendo che ogni tanto perde la pazienza, e lo ha fatto, curiosamente, proprio nel giorno in cui in predica diceva che «la violenza sulle donne è profanazione di Dio».
Le opposte tifoserie si sono scatenate: chi gli ha rimproverato le tante belle parole sulla misericordia e chi invece è rimasto estasiato dalla sua umanità. D’accordo. Abbiamo un papa che eccede in irascibilità. E lo ammette. Viva la sincerità. Non dovrebbe essere uno scandalo, sono pur sempre uomini, eppure l’episodio ha lasciato con l’amaro in bocca perché si è cercato di bilanciare il suo gesto con la maleducazione di una donna che invece voleva anche solo per un attimo dire al Papa qualcosa, non certo aggredirlo.
Nessuno ha notato che quella donna (è circolata la voce che fosse cinese e abbia fatto un appello a Bergoglio per i cristiani perseguitati da Pechino) poco prima di agguantare il pontefice, a differenza di tutti gli altri, si è fatta il segno della croce. Il suo non era quindi il gesto di chi vuole toccare una rockstar, ma assomigliava di più a quello dell’emorroissa del Vangelo. D’altra parte, farsi 10mila km in aereo per venire a Roma e trovarsi faccia a faccia col Papa… a chi non scapperebbe la mano?
Il punto semmai è che la security è stata molto carente e poco pronta a capire quello che stava accadendo.
L’episodio invece, così come le sue scuse, cristallizzano una caratteristica fondante di questo pontificato: l’eccessiva fisicità che lo stesso Bergoglio cerca e ha cercato, si può anche rivelare un boomerang quando il Papa, che è pur sempre un uomo, non è disposto a concedere confidenza. Va un po’ a fortuna e a umore: ad alcuni prende la bombilla del mate o la corona del Rosario per metterla nell’orecchio, ad altri va peggio: si rischia di vedersi rifiutato il bacio dell’anello o addirittura si può incappare in un fallo di reazione come quello al quale abbiamo assistito in diretta mondiale. Umano, per carità.
Anzi, forse anche troppo umano tanto che verrebbe da chiedersi a che cosa serva tutta questa esposizione mediatica di un pontefice che si vuole a tutti i costi dipingere come vicino alla gente, se invece di lui a volte traspaiono quegli aspetti più spigolosi del carattere. Una volta le battute sul Papa si contavano sulle dita della mano, oggi si assiste a un logorante ludibrio social che, oltre a strappare una risata, contribuisce a rendere il papato più umano, certo, ma forse proprio per questo meno verticale e meno “divino”.
Di sicuro, quel gesto rivela il temperamento di Bergoglio: deciso e spiccio nei modi e conferma, seppur nella sua banale insignificanza rispetto ai problemi odierni della Chiesa, quelle che sono le voci e le indiscrezioni sul suo comportamento con quei cardinali e vescovi che non gli sono particolarmente simpatici o con chi lavora in curia. Gli episodi che si raccontano, narrano appunto di questo temperamento, diciamo così, spiccio. Ma finché le cose rimangono nel privato delle sacre stanze, si potrebbe anche liquidare il tutto a letteratura d’appendice e materia per storici di serie B.
Il problema è quando questo viene a galla in diretta tv. Quella diretta tv che, per quanto riguarda il Papa, si è fatta pressante, asfissiante, onnipresente e alla lunga scontata in quell’ostetare una normalità artefatta, tra una visita dall’ottico e un blitz in una scuola romana.
E’ proprio necessario mandare la vita pubblica del papa in diretta come se si trattasse del Truman show? Fino alla prima parte del secolo scorso i cattolici nel mondo non avevano nemmeno il privilegio di vedere che faccia avesse il Papa, eppure sapevano che c’era e governava la Chiesa. Oggi invece sembra che se non abbiamo un tweet del successore di Pietro, un suo passaggio in diretta tv, una sua foto in agenzia, un suo commento su questo o quello, la Chiesa non abbia guida.
Il gesto dell’altra sera è figlio dunque dell’eccessiva mediatizzazione e dell’effetto simpatia che si è voluto a tutti i costi trasmettere con questo pontificato, che però alla lunga mostra la corda alle piccole imperfezioni della nostra umanità. Certo, non è la fine del mondo, ma contribuisce a far perdere quella desiderabilità che un Papa dovrebbe emanare. A forza di insistere sul volto umano del pontificato, tralasciando quell’aura di mistero divino, si rischia di secolarizzarne la figura e assorbire di questa umanità anche ciò che non si addice al ruolo. Il prezzo da pagare può essere umanamente deludente.
Domanda: è possibile fermarsi e rallentare questa corsa a secolarizzare il mistero di un uomo chiamato a portare più di ogni altro il peso di Dio su questa terra?
Ai cardinali che finalmente lo ascoltano per il suo primo discorso da Pontefice, il Pio XIII di The Young pope di Sorrentino, dice che «noi dobbiamo tornare ad essere proibiti. Inaccessibili e misteriosi. Solo così torneremo ad essere desiderabili. Solo così nascono le grandi storie d’amore e io non voglio dei credenti a mezzo servizio, io voglio della grandi storie d’amore».
E poco prima, all’esperta di marketing che gli mostrava i piatti da autorizzare con il volto del neo pontefice, papa Belardo, mostrandole un piatto bianco, le dice che «questo è l’unico merchandising che io posso autorizzare. Senza alcuna immagine di me, perché io non sono nessuno. Nessuno. Esiste solo Cristo». E’ cinema, ma chi l’ha detto che non potrebbe funzionare?
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