Aveva cominciato il presidente della Conferenza Episcopale Italiana (Cei), il cardinale Gualtiero Bassetti, alla vigilia delle elezioni, affermando di non avere mai detto di «non votare Salvini». Probabilmente avvertiva già la tramvata elettorale che stava per colpire la Chiesa istituzionale, soprattutto quella italiana. Ora, a sberla ricevuta, scende in campo addirittura il Segretario di Stato vaticano, cardinale Pietro Parolin, a invitare al dialogo con Salvini: «Il Papa – ha detto a margine di un convegno – continua a dirlo: dialogo, dialogo, dialogo. E perché non Salvini? Anzi, dialogo si fa soprattutto con quelli che non la pensano come noi e con i quali abbiamo qualche difficoltà e qualche problema».
Poi entrambi hanno criticato l’uso di simboli religiosi in politica, dimenticando che in Italia per quasi cinquant’anni ha dominato un partito chiamato Democrazia Cristiana, che la croce l’aveva addirittura nel simbolo e su cui mi pare la Chiesa non avesse nulla da obiettare.
Resta il fatto che l’intervento di Parolin segna l’avvio di un ripensamento in Vaticano sui rapporti con un partito per cui hanno votato moltissimi cattolici. I tweet di padre Spadaro e altri interventi di persone vicine a papa Francesco lasciano però intendere che in Vaticano ci sia una spaccatura e Parolin – da bravo diplomatico – rappresenti solo l’ala moderata e dialogante. Quanto pesa effettivamente questa corrente? Lo vedremo nei prossimi mesi.
Resta il fatto che la sberla ha risvegliato qualcuno e sicuramente gioiscono, almeno in parte, quanti avevano fortemente criticato la demonizzazione di Salvini che il Vaticano aveva promosso a tutti i livelli.
Non noi però. Anche noi abbiamo fortemente criticato l’atteggiamento della Santa Sede nei confronti di Salvini, e per questo continuiamo a farlo. Cerchiamo di farci capire: anche noi saremmo felici se la si smettesse con questa demonizzazione, ma il vero punto di critica non è la distanza della Chiesa da Salvini, è il fatto di aver ridotto la presenza della Chiesa nella società italiana a un referendum su Salvini. È l’aver reso Salvini l’unità di misura della fede degli italiani.
E purtroppo, l’ultimo intervento di Parolin si muove sullo stesso binario. È qui che va a colpire l’intervista concessa al Corriere della Sera dal cardinale Gerhard Müller all’indomani delle elezioni: «In questa fase la Chiesa fa troppa politica e si occupa troppo poco di fede». Questo è il punto, ma ancora più precisamente: c’è una riduzione della fede a opzione politica, peraltro su temi che sono opinabilissimi.
Nelle parole di vescovi e cardionali (non tutti fortunatamente) non si percepisce una fede che illumina anche la contingenza politica, ma una Chiesa totalmente immersa nei problemi sociali. Insomma, tutt’altra cosa rispetto a quell’essere nel mondo, ma non del mondo, con cui Gesù descrive la posizione di chi lo segue.
È vero che come Segretario di Stato il cardinale Parolin è anche un diplomatico e una sorta di ministro degli Esteri, ma è diventato insopportabile sentire vescovi e cardinali parlare da politici e non da pastori; preoccupati più della composizione dei governi che non dell’annuncio di Cristo.
In questo senso che in Vaticano decidano di essere più o meno vicini a Salvini è assolutamente secondario, quello che conta è quanto siamo vicini a Cristo. E a questo i pastori dovrebbero aiutare, anche se ricoprono incarichi “politici”.