«Vorrei ribadire con tutte le mie forze che l’aborto è un grave peccato, perché pone fine a una vita innocente».
«Quanti sono concepiti sono figli di tutta la società, e la loro uccisione in numero enorme, con l’avallo degli Stati, costituisce un grave problema che mina alle basi la costruzione della giustizia, compromettendo la corretta soluzione di ogni altra questione umana e sociale».
«Io vi domando: è giusto fare fuori una vita umana per risolvere un problema? (…) È giusto affittare un sicario per risolvere un problema? Non si può, non è giusto fare fuori un essere umano, perché piccolo, per risolvere un problema: è come affittare un sicario per risolvere un problema».
È una veloce e sommaria rassegna di interventi di papa Francesco di condanna dell’aborto. Molti di più se ne potrebbero citare, ma basta questo per far comprendere una questione molto semplice.
Tutti quelli che in questi giorni ci stanno dando lezioni d’umanità e di carità cristiana, di valori evangelici e di cura per i poveri a proposito del noto caso del “cardinale elettricista”, direbbero le stesse cose se, mettiamo, il cardinale Burke andasse a togliere la corrente nel reparto ginecologia di un ospedale romano per evitare degli aborti?
Riempirebbero pagine di giornale, come stanno facendo ora, per esaltare «la legge che viene prima di ogni altra legge»? Direbbero allo stesso modo che salvare la vita di un innocente vale anche una rottura della legalità?
No che non lo farebbero. E come potrebbero, visto che le stesse persone che si stanno sciogliendo di sentimento per le gesta del cardinale Konrad Krajewski, sono le stesse che non sopportano neanche che si preghi una volta alla settimana davanti alle cliniche dove si abortisce?
Sono tutti lì a sottolineare, per intenerirci, che dei 400 inquilini abusivi di un condominio occupato, un centinaio sono bambini, ma sei milioni (dico: sei milioni) di bambini sono stati uccisi in 40 anni in Italia senza che un solo vescovo abbia preso d’assalto un ospedale per impedire la mattanza.
Non abbiamo mai preteso questo, ma diciamola tutta: oggi in Italia si fa fatica anche a trovare un vescovo che abbia solo il coraggio di parlare di aborto, a cominciare dal presidente della Pontificia Accademia per la Vita, monsignor Vincenzo Paglia, che non ha perso neanche questa occasione per dire una sciocchezza («il Papa indica che bisogna stare con i piedi per terra. E oggi per stare con i piedi per terra bisogna anche accendere la luce»).
E non solo di aborto parliamo. Tra pochi giorni in Francia verrà messo a morte Vincent Lambert, nel peggiore dei modi possibili: ostaggio dei medici e dei giudici, esattamente come Alfie Evans in Inghilterra un anno fa, sarà fatto morire di fame e di sete.
Per lui, così come per Alfie, papa Francesco aveva lanciato un appello in piazza San Pietro nell’aprile 2018. Come il cardinale Krajewski è il braccio destro del Papa per la carità, monsignor Paglia lo è per la vita.
Andrà Paglia a Reims domenica prossima accogliendo l’invito della mamma di Vincent per un sit in davanti all’ospedale che lo detiene?
Cercherà il presidente della Pontificia Accademia per la Vita di forzare l’ingresso dell’ospedale per portare Vincent Lambert in un posto dove possa essere accudito come una persona umana?
Saremmo davvero contenti se lo facesse, e disposti perfino a rimangiarci tutte le critiche che in questi anni non gli abbiamo risparmiato, se andasse a Reims e compisse un gesto eclatante; un gesto che per obbedire alla legge di Dio vada contro le leggi umane.
Vediamo, magari ci smentirà, ma intanto dobbiamo registrare che finora da lì non è arrivata neanche una parola per Vincent. E l’anno scorso, per Alfie, si mise dalla parte di medici e giudici.
E non solo da lì non è arrivata una parola. In Vaticano tutto tace, e dai cantori di Krajewski che imperversano sui giornali di regime neanche un cenno.
Possiamo chiamarli ipocriti? Sì, ipocriti, sepolcri imbiancati, demagoghi da strapazzo. Ma anche peggio. Perché poi, andando a guardare meglio, ti accorgi che i poveri – o presunti tali – sono perlopiù un pretesto.
Guardiamo Avvenire, le lettere pubblicate ieri e la risposta del direttore: allora si capisce che il vero obiettivo di tutti questi pistolotti sulla carità è il ministro dell’Interno Salvini.
Si può convenire sul fatto che a volte Salvini farebbe meglio a tacere, si può anche criticare duramente la sua politica, ma sfruttare la vicenda del “cardinale elettricista” per puri scopi elettorali è molto peggio che essere ipocriti. Ognuno si trovi la definizione adeguata.
Eh sì, caro cardinal Krajewski: se la stessa azione da “gruppettaro” l’avesse fatta lontano da una campagna elettorale e con un governo di centro-sinistra, lei non avrebbe ricevuto neanche la metà della solidarietà che sta ricevendo in queste ore.
Ci pensi bene prima di chiamare carità quello che è, nella migliore delle ipotesi, populismo.