« Tutto sostengo per gli eletti » di don Elia

Omnia sustineo propter electos, ut et ipsi salutem consequantur, quae est in Christo Iesu, cum gloria caelesti (2 Tm 2, 10).
«Tutto sostengo per gli eletti, perché anch’essi ottengano la salvezza che è in Cristo Gesù con la gloria celeste»: ecco il programma di vita per questo tempo di prova, specialmente per i sacerdoti. Abbiamo ormai delucidato a fondo – ci sembra – l’attuale situazione della Chiesa, cercando altresì di inquadrarla nel contesto mondiale.

Pur senza aderire al tradimento, abbiamo accolto il richiamo dall’alto a perseverare nell’obbedienza legittima e a rimanere inseriti nella comunione gerarchica, che malgrado tutto, poiché perpetua la successione apostolica, assicura l’unità visibile della porzione terrena del Corpo Mistico.

Ci siamo consacrati al Cuore Immacolato di Maria e Gli abbiamo chiesto di prendere possesso della Santa Sede perché la liberi dagli occupanti abusivi.

Ci siamo appellati a chi è costituito in autorità perché adempia il proprio dovere di ammonimento e correzione.

Stiamo perseverando nella sofferenza, nella preghiera e nell’offerta per affrettare l’intervento del Signore.

Consapevoli di non essere in grado di fare di più, prendiamo dunque come motto le ispirate parole di san Paolo con un’incondizionata fiducia nella Provvidenza.

Può sembrare contraddittorio che l’Apostolo abbia inteso sostenere le sue innumerevoli prove per la salvezza degli eletti: chi è stato da Dio chiamato alla fede non è forse già al sicuro?

È un altro dei paradossi della verità cristiana, a conferma del fatto che non è di invenzione umana: l’elezione divina non esclude, ma richiede e sollecita la collaborazione dell’uomo, che altrimenti si salverebbe senza merito; l’essere membri della Chiesa, di conseguenza, non è garanzia definitiva di esser salvi.

È solo grazie alla Redenzione operata dal Verbo incarnato con la Sua morte di croce che possiamo sperare di evitare l’Inferno, ma è necessario che a questo dono del tutto immeritato corrispondiamo con la nostra sincera adesione, che deve tradursi nell’impegno più deciso e radicale di combattere i nostri peccati e di crescere nelle virtù.

La salvezza è possibile solo per grazia, ma alla grazia si può anche resistere negando l’assenso; essa, pertanto, giunge ad effetto solo mediante la nostra risposta, che in quanto libero atto buono è anche meritoria: «La bontà di Dio per tutti gli uomini è così grande da volere che siano loro meriti quelli che sono doni suoi» (Concilio di Trento, Decreto sulla giustificazione, DS 1548).

Chi, nel Battesimo, ha ricevuto il germe della vita soprannaturale deve quindi lottare per raggiungere la gloria del cielo, dalla quale potrebbe ancora rimanere escluso, sebbene unicamente per propria colpa. Uno dei rischi più sottili dell’avventura cristiana è quello di credersi già arrivati, già perfetti, immuni dai difetti e dai peccati dei propri simili, guardati orgogliosamente dall’alto in basso.

È per questo che la missione ecclesiale mira non soltanto a suscitare la conversione per mezzo della predicazione, ma anche a coltivare e custodire i fragili germogli della grazia perché arrivino a piena maturazione.

Una retta educazione alla vita di fede risulta oggi particolarmente difficile non solo a causa della confusione che regna nella Chiesa, bensì pure per le insidie che si nascondono in certe proposte tradizionali che, insistendo in modo unilaterale sulla correttezza formale della dottrina e dei costumi, possono indurre a trascurare l’umiltà e la carità, senza le quali si finisce col lastricarsi, con i propri stessi sforzi virtuosi, la via della dannazione.

Nell’indossare i paramenti per la Messa, il sacerdote si lega al braccio sinistro una corta striscia di stoffa chiamata manipolo.

Originariamente era un fazzoletto che si teneva in mano per asciugarsi il sudore della fronte; nella liturgia ha poi assunto la valenza simbolica espressa dalla preghiera che si recita nel metterlo: «Merear, Domine, portare manipulum fletus et doloris, ut cum exsultatione recipiam mercedem laboris» (Che io meriti, Signore, di portare il manipolo del pianto e del dolore, per ricevere con esultanza la ricompensa della fatica).

L’apostolato sacerdotale comporta grandi fatiche e molti dolori, dato che le anime vanno conquistate ad una ad una e che perfino le pecorelle del gregge sono spesso testarde, poco docili, riottose.

Chiedere a Dio di esser degni di avere sempre con sé ciò che serve ad asciugare lacrime e sudore significa dichiarare la propria piena disponibilità a soffrire per la riuscita della missione ricevuta.

Anche questa è una grazia – e Dio la concede solo a chi la desidera davvero, pronto al sacrificio.

Nei diversi significati del termine latino manipulus, però, c’è pure quello del fascio di spighe che il contadino appoggia sul braccio sinistro nel tagliarle. Il frumento mietuto e raccolto nel granaio è simbolo degli eletti condotti in Paradiso.

Il prolungato e doloroso sforzo dell’agricoltore è dunque coronato dal successo e dalla gioia: «Nell’andare, se ne va e piange, portando la semente da gettare; ma nel tornare viene con giubilo, portando i suoi covoni» (Sal 125, 6).

Quel seme che sembrava sparso invano e i germogli che han richiesto tante cure prima o poi fruttificheranno, rendendo dove il trenta, dove il sessanta, dove il cento per uno (cf. Mc 4, 8).

Anche nei momenti più duri, allora, nelle lacrime versate nella preghiera, nel sudore spremuto dalla fatica, nel sangue dell’anima effuso per strappare le singole anime al demonio, riluce in ferma attesa la serena speranza della mietitura, che non potrà deludere chi si sarà sacrificato con fede e amore.

Così, in quel paramento in apparenza superfluo, porto all’altare tutti voi, vicini e lontani, con la sicura fiducia di potervi abbracciare, un giorno, in cielo. È un po’ come – mutatis mutandis – per il pallio dell’arcivescovo.

Ciò potrebbe aver l’aria di un’aspettativa temeraria, se non potessi contare sull’opera di un’Alleata eccezionale.

La nostra Madre celeste ci ottiene – purché La invochiamo con costanza e confidenza – tutte le grazie necessarie per rendere il nostro agire soprannaturalmente fecondo e infallibilmente efficace.

Dato che il Verbo ha assunto da Lei la natura umana allo scopo di incorporarci a Sé, Ella – come osserva san Pio X – ci ha portati in grembo già presenti nel Frutto del Suo seno, sul quale saremmo stati innestati col Battesimo, e con la Sua instancabile intercessione continua in un certo senso a partorirci perché giungiamo alla gloria eterna (cf. Ad diem illum laetissimum, 2 febbraio 1904).

Già sant’Ambrogio esprimeva la medesima verità commentando allegoricamente un versetto del Cantico dei Cantici: «Il tuo ventre è un mucchio di grano circondato da gigli» (Ct 7, 3).

Oggi a nessuno verrebbe in mente di rivolgere alla fidanzata un complimento del genere, ma la ricchezza del linguaggio biblico nasconde significati inattesi: nel grembo della Vergine Maria è stato deposto, nell’Incarnazione, quel chicco di frumento che, una volta caduto in terra, si sarebbe moltiplicato a dismisura (cf. Gv 12, 24); in esso era già contenuto, in potenza, tutto il raccolto.

Quel mucchio di grano del Cantico rappresenta quindi la Chiesa, di cui la Madonna è realmente Madre nell’ordine della grazia, in quanto «cooperò in modo tutto speciale all’opera del Salvatore, con l’obbedienza, la fede, la speranza e l’ardente carità, per restaurare la vita soprannaturale delle anime» (cf. Lumen gentium, 61).

Questo immenso covone è ornato delle rose dei martiri, che anche oggi, più numerosi che mai, sono uccisi in odio alla fede, e dei gigli delle vergini, la cui vocazione è minacciata dalle leggi della stessa gerarchia.

Contiamo fermamente, allora, sull’enorme potenza di impetrazione del sacrificio degli uni e delle altre, ma preghiamo pure ardentemente per i cristiani perseguitati e per i monasteri di clausura, che rischiano di perdere la peculiarità del loro stile di vita.

Il Signore non fa mai mancare le grazie indispensabili a chi le chiede con fede per intercessione di Maria. Raddoppiamo dunque gli sforzi col Rosario e con la penitenza, prima che giunga il giorno del castigo e della purificazione.

 

La Scure