“Questo è il giorno che ha fatto il Signore: rallegriamoci e in esso esultiamo”. Chi ha la fortuna di celebrare la Pasqua, e di celebrarla non come un appuntamento immancabile del calendario di cui non si coglie più il senso e l’origine; chi ha la fortuna di celebrare la Pasqua nella sua verità sostanziale, come la vittoria del Figlio di Dio, morto in croce per noi, che risorge; chi ha la fortuna di celebrare la Pasqua come il riconoscimento che c’è ed è vivo un Signore dell’universo e dei cuori, riscopre che nel mondo – oltre la dura scorza delle nostre paure e delle nostre tristezze – c’è una sorgente inesauribile di speranza e di gioia.Pasqua è l’inizio del Regno di vita e di libertà, instaurato con il sacrificio e la gloria di Cristo. Al tempo stesso è la festa del nostro ingresso in questo Regno, mediante la rinascita battesimale che ci ha fatti “uomini nuovi”. Perché il destino del Signore è anche il nostro.
Anche la comunità ecclesiale come tale è chiamata costantemente a risorgere e a vincere le potenze mondane, le quali a ogni epoca cercano, con vario metodo e vario successo, di racchiuderla nello spazio irrespirabile di una tomba.
Vedete con quanta cura le autorità di Gerusalemme si preoccupano di estromettere definitivamente Gesù dalla loro esistenza. Non contenti di averlo condotto a una morte atroce, “andarono – dice il Vangelo di Matteo – e assicurarono il sepolcro, sigillando la pietra e mettendovi le guardie” (Mt 27,66).
Per una sepoltura dignitosa non hanno lesinato i permessi: hanno consentito che fosse un sepolcro nuovo, di lusso, circondato da un giardino (Gv 19,41). Tutti gli onori funebri dunque sono concessi; purché quel defunto resti defunto e non torni a inquietare con la sua parola di fuoco: “Assicurarono il sepolcro”, con una sollecitudine che tocca la comicità.
Ma, a ben guardare, così avviene anche alla Chiesa, che è il “Cristo totale” che cammina nella storia. Molti ossequi, purché non disturbi e non interferisca con la sua pretesa di dire ciò che è giusto e ciò che è sbagliato; molta attenzione e molta stima, se si limita a custodire il patrimonio artistico dei suoi templi e si accontenta di organizzare dei bei concerti di musica sacra.
Tutto a condizione che il suo insegnamento non susciti contrasti e la sua azione non incida più.
Ci sono epoche e luoghi in cui alla Chiesa è fatto persino divieto di esistere; o, tollerandone l’esistenza, la si opprime con persecuzioni aperte che arrivano anche a imprigionare e a uccidere.
Il nostro secolo ha conosciuto, forse con un’abbondanza senza precedenti, queste situazioni di ostilità violenta nei confronti delle comunità cristiane, nei Paesi dell’Est – noi lo sappiamo, anche se pare che ci siamo affrettati tutti a dimenticarlo – questa stagione dei martiri è finita da poco.
E ci sono epoche e luoghi dove, senza leggi esplicitamente vessatorie, si arriva “culturalmente” a soffocare il “Christus hodie” (il “Cristo totale”, che è la Chiesa) con la riduzione progressiva della sua voce nella società e nei mezzi di comunicazione (quasi interamente appaltati agli imbonitori di frivolezze e ai maestri del niente), con l’alterazione della verità storica e la tendenziosità dell’informazione, con le complicazioni burocratiche e i capestri finanziari che non consentono più di vivere alle istituzioni cattoliche. Eccetera.
Il sinedrio e gli scribi di turno sono sempre irritati verso il Signore Gesù che non si rassegna a restare quieto e inerte nel suo bel sepolcro. Ma questo Crocifisso, che nessuna tomba riesce più a rinserrare, non è fatto per lasciare tranquilli coloro che pensano di aver risolto col suo seppellimento i problemi della loro licenza di sragionare. In ogni epoca e in ogni luogo Gesù prosegue, nonostante tutto, la sua missione di unico e necessario Salvatore degli uomini.
La grazia specifica da chiedere nella giornata di oggi è quella di capire, con persuasione più limpida e cuore ringiovanito, che la fede è la scoperta e la lieta sorpresa che Gesù Cristo è vivo: la scoperta e la lieta sorpresa del mattino di Pasqua, che si rinnova ogni giorno sino alla fine del mondo.
Ancora oggi, dopo quasi duemila anni, ci deve prendere lo stesso entusiasmo degli apostoli quando si sono resi conto che il loro Maestro amato era risorto: “Gioirono i discepoli al vedere il Signore” (Gv 20,20).
Per la sua nuova condizione di gloria, che gli consente di eccedere i limiti dello spazio e del tempo, Gesù adesso è sempre con noi. E noi ne sentiamo la benedetta presenza, quando ci apriamo con animo semplice all’autenticità e all’integralità della vita ecclesiale.
La percepiamo, questa presenza, nel Vangelo – messaggio di luce e viatico di coraggio – che continua a guidarci e a consolarci, mentre siamo frammisti a un’umanità troppo spesso intristita e persa.
La percepiamo nel dono stupendo dell’Eucaristia, che ci coinvolge nell’offerta del sacrificio del Calvario, principio di ogni salvezza, e che colma e anima le nostre chiese con la realtà della divina presenza di colui che è il nostro Redentore e il nostro non deludente amico.
La percepiamo nei santi, in cui egli rivive e agisce efficacemente in mezzo a noi. Palesi o nascosti, i santi non mancano mai tra i credenti: ci sono sempre, a ogni svolta del cammino del popolo di Dio. Con la loro testimonianza essi ci richiamano fortemente al Signore Gesù: sono il profumo e la trasparenza della sua obbedienza al Padre e della sua dedizione ai fratelli.
“Cristo, risuscitato dai morti, non muore più: la morte non ha più potere su di lui” (Rm 6,9). Questo è il fondamento di ogni nostra fiducia, questa è la vera ragione dell’esultanza di questo giorno.