Nella settimana seguita all’esplosiva pubblicazione degli “appunti” di Joseph Ratzinger sullo scandalo degli abusi sessuali nella Chiesa cattolica, sono almeno sette gli elementi essenziali venuti allo scoperto, di cui tener conto in vista di sviluppi futuri.
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Il primo riguarda la genesi della pubblicazione degli “appunti”. Ratzinger dice di averli scritti “nel lasso di tempo che va dall’annuncio dell’incontro dei presidenti delle conferenze episcopali al suo vero e proprio inizio”, cioè tra il 12 settembre 2018, giorno dell’annuncio, e il 21 febbraio 2019, giorno dell’apertura del summit.
Ma Ratzinger dice anche di averli scritti per “fornire qualche indicazione che potesse essere di aiuto in questo momento difficile”.
Dal che si deduce che egli li abbia scritti per offrirli, anzitutto, ai dirigenti di Chiesa convocati in Vaticano da papa Francesco per discutere della questione.
Ne ha dato conferma il 13 aprile il “Corriere della Sera”, il più diffuso quotidiano laico italiano, uno degli organi di stampa che due giorni prima aveva pubblicato il testo integrale degli “appunti”:
“Benedetto ha inviato le diciotto pagine e mezza sulla pedofilia ‘per cortese conoscenza’ al segretario di Stato, cardinale Pietro Parolin, prima della riunione globale delle conferenze episcopali, per farle conoscere anche a Francesco”.
È risultato però che nessuno dei partecipanti al summit abbia ricevuto il testo di Ratzinger. Francesco ha creduto bene tenerlo per sé, chiuso in un cassetto.
E nessuno ne avrebbe più saputo nulla se Ratzinger in persona, una quarantina di giorni dopo, non avesse deciso di renderlo di pubblico dominio, formalmente su una poco nota rivista bavarese, “Klerusblatt”, ma in pratica su una decina di grandi testate cattoliche e non, in tutto il mondo e in più lingue, dopo averne dato avviso alle massime autorità vaticane, come da lui stesso rivelato:
“A seguito di contatti con il segretario di Stato, cardinale Pietro Parolin, e con lo stesso Santo Padre, ritengo giusto pubblicare su ‘Klerusblatt’ il testo così concepito”.
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Un secondo elemento è la reazione iniziale dei media vaticani. Gelida.
Il portale ufficiale “Vatican News” ha dato conto del testo di Ratzinger solo parecchie ore dopo che era stato reso pubblico, tra i lanci di second’ordine, con un breve e notarile riassunto privo del rimando al testo integrale.
E lo stesso ha fatto “L’Osservatore Romano” stampato nel pomeriggio dell’11 aprile, con il medesimo, stringato riassunto nascosto in fondo a pagina 7, senza alcun richiamo in prima pagina e sotto un ben più vistoso articolo del gesuita Antonio Spadaro, direttore de “La Civiltà Cattolica” e primo consigliere e ghostwriter di papa Francesco.
Essendo nota la prossimità al papa dei massimi dirigenti dei media vaticani – il prefetto del dicastero per la comunicazione Paolo Ruffini e il direttore editoriale Andrea Tornielli, oltre a padre Spadaro – questo gelo nel registrare la pubblicazione del testo di Ratzinger non può che riflettere la forte irritazione di Francesco.
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Un terzo elemento è il comportamento dei media vaticani nei giorni successivi, del tutto taciturni sui contenuti e i contraccolpi del testo di Ratzinger e invece mobilitati a dare risalto distraente e giustificante – con due editoriali successivi di Tornielli e del direttore de “L’Osservatore Romano” Andrea Monda – a un concomitante gesto di Francesco tanto spettacolare quanto sconcertante, quel suo bacio dei piedi dei due leader rivali nella feroce guerra fra tribù che in Sud Sudan ha già fatto quattrocentomila morti.
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Un quarto elemento è il silenzio di Francesco. Non solo praticato ma anche teorizzato. Nell’omelia della domenica delle Palme, il 14 aprile, il papa ha preso a paragone il “silenzio di Gesù nella sua passione”, un silenzio – ha detto – che “vince anche la tentazione di rispondere, di essere ‘mediatico’”, perché “nei momenti di oscurità e grande tribolazione bisogna tacere, avere il coraggio di tacere, purché sia un tacere mite e non rancoroso. La mitezza del silenzio ci farà apparire ancora più deboli, più umiliati, e allora il demonio, prendendo coraggio, uscirà allo scoperto”.
Il silenzio è reazione tipica di Jorge Mario Bergoglio ogni volta che è seriamente messo alla prova. L’ha adottato con i “dubia” dei quattro cardinali, con le domande scomode dell’ex nunzio negli Stati Uniti Carlo Maria Viganò e ora con questo intervento del papa emerito.
Che Francesco, con la sua ultima apologia del silenzio, alludesse “alle tensioni e ai veleni legati agli ‘appunti’ di Benedetto XVI” non è frutto di fantasia, visto che l’ha messo nero su bianco un cronista vicinissimo a Santa Marta come Domenico Agasso, l’attuale coordinatore del sito “Vatican Insider” diretto fino a pochi mesi fa da Tornielli e tuttora sotto la sua tutela.
In “Vatican Insider” questa esegesi dell’omelia papale faceva seguito, domenica 14 aprile, a due altri articoli dello stesso Agasso dai titoli molto eloquenti:
> Francesco e l’ombra di Ratzinger, la coesistenza che pesa sul Vaticano
> “La coabitazione tra i due papi è possibile solo se quello emerito sa restare invisibile”
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Con questi due articoli è venuto allo scoperto un quinto elemento della storia: il giudizio radicalmente negativo che papa Francesco ha elaborato sulla pubblicazione degli “appunti” di Ratzinger.
Questo suo giudizio Francesco lo tiene dentro di sé. Ma l’impressionante concordia vocale di persone a lui vicinissime consente di leggere ciò che egli pensa.
La più solerte a prendere posizione è stata Stefania Falasca, editorialista del quotidiano della conferenza episcopale italiana “Avvenire” ma soprattutto amica di lunga data di Bergoglio, assieme al marito Gianni Valente, direttore dell’agenzia vaticana “Fides” e altra firma di punta di “Vatican Insider”.
È utile ricordare che la prima telefonata di Bergoglio dopo la sua elezione a papa, la sera stessa del 13 marzo 2013, fu proprio a Stefania Falasca. E ben due volte, nei giorni che precedettero quel conclave, l’allora arcivescovo di Buenos Aires era stato a cena a casa sua, presente anche Tornielli.
Ebbene, con due tweet poco dopo la pubblicazione degli “appunti” di Ratzinger, Falasca ha accusato il papa emerito di aver violato due obblighi che il direttorio “Apostolorum successores” del 2004 impone a tutti i vescovi emeriti: quello di “non interferire in nulla” con il vescovo regnante e quello di non “costituire quasi un’autorità parallela”.
Il primo dei due articoli sopra citati di Agasso su “Vatican Insider” prende spunto proprio da qui per sostenere che con la pubblicazione degli “appunti” si è rotto un equilibrio tra i due papi, anzi, si è ormai arrivati a “una frattura”. E dunque “si pone una questione ‘costituzionale’ sul ruolo del papa emerito”. Ruolo che effettivamente è un nodo non risolto, ma che ora viene utilizzato dagli apologeti di Bergoglio per intimare a Ratzinger di stare in silenzio e “nascosto al mondo”.
E il secondo articolo ribadisce lo stesso concetto, con un’intervista a Massimo Faggioli, discepolo della cosiddetta “scuola di Bologna” e professore alla Villanova University di Philadelphia, anche lui convinto che “si pone il problema di regolamentare la figura del papa emerito per il futuro” e che intanto, nel presente, sarebbe d’obbligo che Benedetto XVI “resti invisibile”.
In entrambi gli articoli si fantastica anche su una manomissione esterna del testo e della persona stessa di Ratzinger, da parte di imprecisati suoi cortigiani.
In ogni caso senza dire una sola parola che non sia di disprezzo sul contenuto degli “appunti”, nonostante la loro serietà estrema, in continuità con quanto già scritto da Benedetto XVI nella memorabile lettera ai cattolici d’Irlanda del 2010.
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Ma c’è anche chi afferma: “Vogliono far tacere Benedetto XVI perché dice la verità”. E siamo al sesto elemento della storia: l’intervista del cardinale Gerhard Müller a Riccardo Cascioli su “La Nuova Bussola Quotidiana” del 15 aprile.
L’intervista è tutta da leggere. Ma ecco qui di seguito tre passaggi in cui Müller rivendica la libertà del papa emerito di “dire la verità”:
“Certo che i vescovi emeriti devono restar fuori dal governo quotidiano della Chiesa, ma quando si parla di dottrina, di morale, di fede sono obbligati a parlare dal diritto divino. Tutti hanno promesso durante la consacrazione episcopale di difendere il ‘depositum fidei’. Il vescovo e grande teologo Ratzinger non solo ha il diritto ma anche il dovere di parlare e dare testimonianza della verità rivelata”.
“Gli apostoli Pietro e Paolo, i fondatori della Chiesa romana, hanno dato la loro vita per la verità. Pietro e Paolo non hanno detto: ‘Adesso ci sono altri successori, Timoteo e Tito, lasciamo parlare loro pubblicamente’. Hanno dato testimonianza fino alla fine della vita, fino al martirio, con il sangue”.
“Un vescovo emerito, quando celebra una messa, nell’omelia non deve dire la verità? Non deve parlare della indissolubilità del matrimonio solo perché altri vescovi attivi hanno introdotto nuove regole che non sono in consonanza con la legge divina? Piuttosto sono i vescovi attivi che non hanno il potere di cambiare la legge divina nella Chiesa. Non hanno alcun diritto di dire a un sacerdote che deve dare la comunione a una persona che non è in piena comunione con la Chiesa cattolica. Nessuno può cambiare questa legge divina, se uno lo fa è un eretico, è uno scismatico”.
E queste sono le battute finali dell’intervista:
D. – Cardinale Müller, quali conseguenze si aspetta dalla pubblicazione di questi “appunti” di Benedetto XVI?
R. – Io spero che alcuni comincino finalmente ad affrontare il problema degli abusi sessuali in modo chiaro e corretto. Il clericalismo è una falsa risposta.
Il “clericalismo”, cioè il mantra che per papa Francesco sarebbe la causa di tutti i mali della Chiesa.
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Infine il settimo ma non ultimo elemento della storia: la visita di Francesco a Benedetto, nel pomeriggio del 15 aprile, per gli auguri di Pasqua e di buon compleanno, come mostra la foto diffusa dalla sala stampa vaticana.
Nelle stesse ore è uscito sulla prima pagina de “L’Osservatore Romano” un editoriale di Tornielli dal titolo “Quella ‘via penitenziale’ che unisce i due pontificati”, che insiste sul concorde richiamo dei due papi – nei maggiori documenti dei rispettivi pontificati e da ultimo anche negli “appunti” – alla preghiera, alla penitenza e alla conversione dei cuori come via maestra per vincere lo scandalo degli abusi.
Le due cose insieme suonano come un segnale di tregua, all’inizio della settimana santa.
Ma ancora una volta, non una sola parola di Francesco e dei suoi portavoce sul contenuto degli “appunti” di Ratzinger riguardo alla radice ultima dello scandalo.
Su questo la divaricazione tra Francesco e Benedetto resta intatta. E dagli sviluppi imprevedibili.
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E a proposito di giustificazione della pedofilia…
Ci sono due passaggi degli “appunti” di Benedetto XVI sui quali alcuni suoi critici hanno infierito, imputandogli d’aver data per vera una realtà inesistente.
È là dove il papa emerito scrive che “della rivoluzione del 1968 fa parte anche il fatto che la pedofilia sia stata diagnosticata come permessa e conveniente”, al punto da essere “teorizzata ancora non troppo tempo fa come del tutto giusta”.
Invece proprio questo è avvenuto, specie in Germania, in Francia, negli Stati Uniti, ad opera di intellettuali di grande fama, come ha documentato ad esempio nel 2013 una insospettabile inchiesta di “Der Spiegel”, rilanciata in Italia da Giulio Meotti su “Il Foglio”.
In quest’altra pagina di Settimo Cielo è riprodotta integralmente la versione italiana dell’inchiesta. Da non perdere:
> Il ’68 dei pedofili