Al posto della pipa c’è il sigaro. Per il resto è in tutto e per tutto simile al commissario Maigret impersonato da Gino Cervi. Anche nelle coincidenze del destino di un personaggio che sembra avere con lui più di una somiglianza: Cervi è stato il Peppone di guareschiana memoria, in quanto al commissario nato dalla penna di Simenon, il suo è un lavoro principalmente di indagine. (clic due volte sulle immagini per ingrandirle)
Ma stavolta Gianfranco Stella, professore romagnolo prestato alla storiografia di un passato doloroso dell’Italia, sa di giocarsi molto di più delle tante querele che ha comunque sempre vinto.
Questo perché con I grandi killer della Liberazione aveva messo nero su bianco un numero sufficientemente ampio di partigiani che si macchiarono di delitti orribili nel corso di quella che ancora oggi una vulgata ormai stantia chiama Resistenza, ma che è ormai evidente a tutti fu una guerra civile.
Ma ora Stella (in foto) alza la posta e rilancia con un libro frutto di tre anni di lavoro che, già dal titolo e dalle prime reazioni, si preannuncia come sconvolgente: si chiama Compagno mitra, saggio storico sulle atrocità partigiane ed è – per stessa ammissione dell’autore – “una bomba”. “Autoprodotta, perché così sono più libero”, dice oggi in questa intervista alla Nuova BQ.
600 pagine, la stragrande maggioranza delle quali riferita a quanto accadde nella provincia di Reggio Emilia, dove la violenza partigiana contro i presunti fascisti, i preti, i ricchi, i liberali e i possidenti fu particolarmente spietata e i sogni di rivoluzione marcatamente accesi.
Stalinisti erano i comunisti di Reggio Emilia dell’epoca, sufficientemente indisciplinati anche per Togliatti. E ora, si scopre, stando al lavoro di Stella, anche pesantemente coinvolti in quei delitti per troppo tempo derubricati a semplici follie di schegge impazzite.
“Compagni che sbagliano” si sarebbe detto in tempi successivi.
No, con questo libro, che domani sarà presentato in anteprima in una Reggio Emilia blindatissima in un evento promosso dall’Associazione Culturale Pietro e Marianna Azzolini, Associazione Culturale Dea Minerva e dal Centro Studi Italia, emerge il coinvolgimento del partitone rosso che sapeva tutto quello che c’era da sapere e che il Chi sa parli del compianto Otello Montanari aveva soltanto lievemente scoperchiato.
“Dal Dopoguerra ad oggi il Partito Comunista ed i suoi eredi hanno sempre cercato di impedire la memoria e la storia delle violenze dei partigiani stalinisti”, dice l’avvocato Luca Tadolini del Centro Studi Italia. Ebbene: a più di 70 anni di distanza emergono i nomi e le foto degli assassini, mai condannati, alcuni soltanto amnistiati, quasi sempre coperti proprio dal partito.
E ad ammettere quella atroce responsabilità non sono le opinioni dell’autore, ma la fonte da cui provengono: i documenti dello stesso Pci di Reggio che, improvvisamente, quando ormai l’ultima chiamata alla verità sembrava persa per sempre, ha iniziato a restituire verità.
Una verità che si è presentata sotto forma di un “pentito” che, arrivato alla fine della sua vita, ha deciso di fare i conti con quel passato consegnando alla storia fatti e episodi circostanziati: omicidi politici che vanno sotto il nome di Triangolo della morte.
Inutile scoprire l’identità di quel misterioso “agente all’Havana” che tre anni fa ha voluto incontrare Stella per fargli conoscere dossier, documenti e veline rimasti custoditi per decenni nel ventre della balena di via Toschi dove aveva sede il Pci reggiano. Tra i due c’è un patto di ferro a non rendere noto nessun dettaglio sulla sua persona. Ma quello che emerge è grosso.
Stella, almeno ci spieghi perché questa persona è venuta in possesso di quei documenti.
Perché ha vissuto tutta la vita dentro al Pci.
Un “pentito” che ha deciso di parlare per sistemare i conti con la propria coscienza?
Diciamo una persona che si è mossa così per bisogno di verità. Quando avvenne il passaggio dal Pci al Pds una mole immensa di documenti vennero fatti sparire. Lui non fece altro che raccogliere una piccola parte di quelle informazioni per custodirle.
E oggi pubblicarle. Perché questo libro segna uno spartiacque così importante?
Dopo I grandi killer della Liberazione pensavo di aver esaurito l’argomento sui crimini partigiani. Poi mi sono accorto che c’era rimasto qualcosa, qualche partigiano ligure ad esempio che “meritava” di entrare nel novero di questi ricordi.
Dopo due capitoli, per coincidenza, mi presentano un ex comunista di Reggio Emilia, che aveva un archivio non indifferente di nomi e fotografie. Materiale che scotta.
E lì inizia la sua ricerca. Che cosa ha scoperto?
Le faccio solo un esempio. Ad esempio, ho scoperto le “gesta” di un killer spietato. Un nome oscuro. Persino Enzo Biagi provò ad intervistarlo. Eppure, su di lui aleggiavano molti sospetti. Quando il celebre giornalista andò a cercarlo per fargli replicare alle ricerche di Giorgio Pisanò, non lo fece neanche entrare in casa. Sicuro di essere protetto da un contesto di potere e paura.
Quindi?
Ebbene. Prima della Liberazione a questa persona vengono attribuiti ben 34 omicidi e dopo, a guerra ormai finita, 139. Un numero di atrocità senza precedenti.
Non ha mai pagato?
Amnistiato come tutti, fu accusato anche di aver ucciso la moglie. Il partito lo fece riparare prima in Jugoslavia e poi in Cecoslovacchia. Al suo ritorno godette dell’amnistia e visse tranquillo nel suo comune in provincia di Reggio protetto da tutti e con un cospicuo conto in banca.
Ma il partito sapeva?
Sapeva? Ho trovato la corrispondenza del Pci con i fuoriusciti in Cecoslovacchia. Scambi epistolari e comunicazioni. Era il partito che organizzava la fuga.
Sta attribuendo crimini a persone che oggi sono morte. Non teme denunce?
Le denunce le ho già prese in passato e alcune sentenze di proscioglimento ora fanno giurisprudenza: se i documenti storici sono presentati scientificamente, non c’è diffamazione.
Ci sono esponenti politici di estrazione comunista che stanno già affilando “le armi”. Teme di essere smentito?
No. Provino a smentire quello che il Pci faceva ai ricchi dopo la guerra.
Che cosa?
All’indomani della Liberazione si recava da quelli considerati possidenti a chiedere una contribuzione forzata.
Contribuzione forzata? Per chi?
Per il partito. Una tangente mascherata sotto minaccia di morte.
In che cosa consisteva?
Allora, siamo ai primi di maggio del ’45. Stanchi di essere vessati in continuazione, alcuni reggiani si recano al comando alleato e chiedono consiglio. Il colonnello americano risponde che nessuna contribuzione forzata è dovuta ai comunisti. Così decidono di rispedire al mittente le richieste.
Come finì?
Finì che non avevano fatto i conti con uno di questi killer. Una “spia” avverte del rifiuto a pagare e nel giro di una settimana cinque di loro vanno sottoterra. Così tutti gli altri rincominciarono a pagare.
Quanti nomi ha trovato?
Sono 220 fotografie. Si tratta per la maggior parte di materiale inedito raccolto da dentro la vita di partito e di documenti riservati, come ad esempio le lettere con gli ex partigiani all’Est.
Si tratta di materiale che può riscrivere la storia?
Penso di sì. Ad esempio, racconto di un piano all’indomani della Liberazione per bloccare la caserma di Reggio e fare fuori il maresciallo dei carabinieri.
Un piano B che non si attuò mai, che era previsto nelle menti dei dirigenti di allora. Oppure il boicottaggio alle industrie Reggiane con un incidente sospetto.
La Resistenza dei partigiani comunisti è stata anche un grande momento di attacchi portati alla Chiesa. Solo a Reggio vennero uccisi 11 preti. Che cosa ha trovato?
Ho trovato i nomi degli assassini di molti sacerdoti che sono sempre stati sconosciuti.
Ad esempio?
Mi faccia guardare…ad esempio, ecco: l’assassino di don Giuseppe Iemmi, ucciso a Felina.
Fino alla beatificazione di Rolando Rivi è sempre stato considerato il vero martire reggiano, ucciso in odium fidei. Giorgio Morelli, (anch’egli ex partigiano cattolico e martire a sua volta ndr) fece i nomi dei suoi assassini. Ma non accadde mai nulla.
Ebbene, quei nomi sono ripetuti anche in questi documenti inediti. E per questo sono più autorevoli.